Mi incuriosisce l’accenno alla regina.
«Reduce dalla Brexit, sembra entrata in una nuova giovinezza. Il principe Filippo pieno di acciacchi, Boris Johnson che ha lottato in terapia intensiva tra la vita e la morte, mentre lei artefice di una levigata compostezza nell’esercizio rigoroso del suo ministero sembra non rassegnarsi alla fine dell’incantesimo. Nel discorso pronunciato il venerdì santo ha sfidato il "nemico invisibile" avvertendolo: "vinceremo". Sembrava Churchill. Ma non è una guerra quella che si combatte, piuttosto somiglia allo scontro con un tiranno capriccioso e sconosciuto che non conosce regole né confini e ci fa paura perché alimenta il bisogno di protezione e sicurezza in cambio della libertà».
Eppure tutti o quasi oggi sentono il peso delle restrizioni. Anche ora che si sono allentate.
«Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Non si può pretendere di non essere contagiati e poi intrupparsi in qualche luogo pubblico. La pandemia è arrivata senza preamboli né spiegazioni, come fosse una narrazione parallela alla vita reale».
Una narrazione catastrofica, non trovi?
«Ho una certa esperienza di catastrofi. Già nei primi anni Trenta pendevo dalla bocca dei reduci e mutilati della prima guerra mondiale. Uno di essi, don Carmelo, ciabattino istruito e conversatore molto alla mano, sedeva spesso facendo circolo davanti alla sua bottega. Quel mutilato prese in simpatia un ragazzetto apprendista in una fornace, a due passi. Sul suo volto scavato brillava sinistro un dettaglio: aveva perso un occhio sulla linea del fuoco».
Il ragazzetto eri tu?
«A me non pareva vero potergli chiedere: "don Carmelo, mi fate vedere l’occhio di vetro?". E lui, simile a un gioielliere, lo estraeva, lo rigirava e lo riponeva nell’orbita. Per me era come gettare uno sguardo nell’abisso della guerra. Dovrei sorvolare sul terremoto di Messina. Ho scritto un libro raccogliendo le testimonianze dal vivo rese dai cronisti della tempra di Barzini, Borgese, Marchesi, ma anche poeti e scrittori come Pascoli e Pirandello. Quella sì fu una vera catastrofe. Schiacciata dal fardello dell’insipienza cronica di tutti gli interventi, ordinari e straordinari del governo di Roma. Riesplose l’antagonismo atavico tra tutti i corpi, tra tutte le autorità detentrici di pubblici poteri: i militari di terra contro quelli di mare, il prefetto esautorato dal generale, il generale in lotta con l’onorevole. L’onorevole sottomesso all’autorità ecclesiastica e quest’ultima padrona della città».
Anche allora la famosa catena di comando.
«Più catena fragile che comando, visti i contrasti, le ripicche, l’elidersi a vicenda di ordini e contrordini. Fu un caos amministrativo e burocratico (Barzini parlò della follia dei bolli) che riprodusse ingigantita quell’anarchia in argine e rimedio alla quale si era istituito una specie di stato di assedio, un "comando" armato di poteri illimitati. Quei fatti nella loro cruda realtà si ribellavano ad ogni interpretazione benigna e diedero sfogo ai peggiori istinti e alle peggiori rabbie».
È quello che si teme ogni qualvolta l’emergenza non trova risposte adeguate.
«Non si può ignorare che sotto le edificazioni della civiltà rimane un forte sedimento di passioni ferine. Quando l’urto è potente e l’ordine razionale salta per aria, l’uomo regredisce bruscamente di millenni, vittima di dissociazioni, di sdoppiamenti mostruosi tra il presente e il passato, tra civiltà e barbarie. L’inebetimento – oltre che la rabbia – è la manifestazione più comune di questo disordine. Si tratta di una condizione che restituisce il civilizzato agli stupori e ai torpori dei primitivi. Naturalmente chi guazza a suo agio in tanto diluvio è il politico amorale, il senza scrupoli, il mestatore di coscienze, l’uomo-lupo con o senza travestimento civile. Qui i fatti rischiano di entrare nella cupa leggenda».
In che senso?
«Nel senso che dove tutto è male niente è male. Ciascuno, dopo il disastro di Messina, poteva ritenersi libero di agire come meglio credeva. Nei primi tre giorni, tutti rubarono tutto. L’acqua fu rubata, le arance furono rubate, i magazzini della dogana furono saccheggiati, la "roba" insomma non ebbe padrone né in diritto né in fatto. Può esserci una certa generalizzazione e una certa sommarietà, d’altronde inevitabile, nelle cronache dell’epoca, ma non c’è dubbio che circa il rapporto vita-bene, persona-cosa si diffuse l’impressione fondata di un ritorno allo stato presociale e alla conseguente padronanza di tutti su tutte le cose».
Il monito di Hobbes: se un ordine cade, il rischio è di tornare allo stato di natura.
«Hobbes aveva sott’occhio la guerra civile e la decapitazione di Carlo I. Guardava alla rapida trasformazione di un mondo entrato prepotentemente nella modernità. Noi invece rischiamo di uscirne, senza sapere esattamente dove andare a posarci. Resto dell’idea che una pandemia è raro che diventi una catastrofe. È priva della materia per diventarla. Se si toglie il cavallo il "Trionfo della Morte" si nota molto meno».
Si torna a parlare come non si è mai fatto in passato della salute dell’individuo.
«È una sottolineatura giusta che richiama un articolo della Costituzione: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite all’indigente". Una normativa di scarna tempra minimalistica, spesso dimenticata o rimossa in passato. Eppure…».
Eppure?
«L’enfasi sul fondamentale diritto dell’individuo, su quell’entità comune, anonima, statistica e come tale piuttosto malvista, rimbomba nel vuoto: come destino astratto inevitabile, tipico di ogni norma programmatica. Se poi si leggono – nella storia evenemenziale della pandemia – i destini reali delle persone, le sentenze di condanna per chi non ce la fa ad arrivare alla fine del mese, per chi deve sfamare nuclei gonfiati di figli e nipoti, beh si comprende che con la salute non si scherza. Si prova a conservarla».
A proposito, sei stato e resti un conservatore dichiarato.
«Mi piacerebbe ancora esserlo se ci fosse qualcosa da conservare. Da bambino era questo il desiderio: avere qualcosa del passato da poter stringere gelosamente tra le mani».
E tu com’eri da bambino?
«Ero attratto dall’insolito».
Come dall’occhio di vetro di don Carmelo?
«Era una rarità ma soprattutto una metafora di uno sguardo che non poteva più svolgere la propria funzione. Poche vicende sono più strane».
E tu lavoravi alla fornace?
«Aiutavo mio padre. Anzi un operaio di mio padre, al tornio. Papà fu ramaio».
Hai un ricordo familiare della Spagnola?
«Non so se qualche cugino ci lasciò le penne. Ci furono più o meno gli stessi morti delle due guerre mondiali. Ma non è paragonabile al Covid 19. Quest’ultima è un’infezione dannosa ma penso di breve periodo. Anche se il danno economico segnerà, sta già segnando, un solco profondo tra paesi penalizzati ma con forti e rapide potenzialità di recupero, come la Cina, e paesi più penalizzati dalle criticità capillarmente diffuse, come è il nostro».
Scompensi economici tra paesi anche tradizionalmente vicini provocheranno chiusure e nuovi nazionalismi?
«Se l’Europa sarà debole e divisa è inevitabile il risorgere di vecchi nazionalismi. Le due grandi guerre sono nate dall’esaltazione storicistica e nazionalistica protonovecentesca della lotta a morte. Ma non riesco a pensare a una nuova guerra. Il coronavirus fa un altro mestiere, sicuramente meno pericoloso per i millennial, quelli che un tempo erano i "ragazzi del novantanove". Tanto per cominciare preferisce i vecchi e si incrudelisce sugli acciaccati cronici».
Temi per i tuoi quasi 94 anni?
«Ci mancherebbe altro! Tutto mi appare conforme al decorso della calamità naturale, che degrada l’evento ad accadimento e quest’ultimo mi consegna a un fatalismo grigio e tetro cui non potrei rimediare certo con invettive, lacrime, scongiuri e smorfie da operetta. Mi pare più dignitoso restare in attesa e fare le cose che si sono sempre fatte».
È il modo di vivere le tue giornate in casa?
«Soffoco tra i vecchi libri di sempre. Molto meno, insomma, tra le pile delle novità che sotto il cumulo dei volumi catalogati per decine di migliaia. Noi veterani della lettura allunghiamo la mano tra gli scaffali e così si rilegge e si rivive. In assenza di libertà, però, come è ovvio, tutto si complica. Negli intervalli, non meno necessari e fruttuosi della lettura, i dialoghi a tu per tu con le persone care, tanto più se con una di esse – già moglie negli anni Cinquanta del secolo scorso – si vive per parlare, incessantemente e si parla per vivere, augurandosi di non stancarsi mai, anche se a volte le parole del discorso si increspano».
Le parole che complicano e che a volte non avremmo voluto dire.
«In una vita coniugale così lunga ci possono stare le incomprensioni e la stanchezza. Perfino il disagio che una parola venga mal compresa. Per la quiete, per l’armonia, bisogna aspettare la caduta del vento. A me succede puntualmente prima che giunga la notte. E poi ci sono i figli, l’altra lunghezza d’onda».
Quanti sono?
«Quattro, di cui uno perduto e ogni figlio ha un certo modo di sentire le cose del mondo».
La morte di uno cosa ti ha lasciato?
«La piaga è ancora aperta. È morto di infarto, di notte, solo in casa, nell’aprile del 2018. Faceva il critico d’arte. L’estate prima c’eravamo curiosamente trovati a leggere lo stesso libro: il Pasticciaccio di Gadda, ci sembrò bella quella sintonia involontaria. La sua morte è stata una tragedia nella tragedia perché non si possono scacciare tutti i fantasmi. Dopo la morte della figlia, Hegel scrisse che il cuore di Dio è sempre più grande, perciò è capace di accogliere il lutto».
C’è la frase di uno scrittore che senti vicina in questo momento?
«Uno che non era à la page fu Salvatore Satta e il suo straordinario Il giorno del giudizio. Conobbi bene Satta, giurista valente, prezioso collaboratore e straordinario scrittore che raccontò il mondo attraverso coloro che non c‘erano più e vissero la sua Nuoro nella grandezza e nella miseria: "In questo remotissimo angolo del mondo, da tutti ignorato fuori che da me, sento che la pace dei morti non esiste, che i morti sono sciolti da tutti i problemi, meno che da uno solo, quello di essere stati vivi"».