la Repubblica, 9 maggio 2020
Il giorno dopo la folla sui Navigli
MILANO — Sull’argine della Darsena compare una scritta: «Il vecchio mondo tarda a morire, quello nuovo tarda a comparire e in questo chiaroscuro nascono i mostri». Dopo due mesi diligentemente sigillata in casa, Milano già suda e si ribella al suo limbo. «Liberano i mafiosi – dice Franco Lozza, 58 anni, commerciante di formaggi – ma criminalizzano chi si beve la prima birra all’aria aperta, in una sera profumata di maggio. Se vogliono farci morire tutti di solitudine in una stanza, lo dicano».
Il popolo degli aperitivi non ce la fa più e sui Navigli, quando il sole si schiaccia, torna la folla. Famiglie, bambini, stormi di teenager, finti pescatori, innamorati, manager travestiti da ciclisti e compagnie in astinenza di risate: addio mascherina e giusta distanza, come nel mondo di prima.
«Immagini vergognose – tuona il sindaco Beppe Sala – o si cambia o richiudo, compreso l’asporto di bar e ristoranti. Le priorità sono salute e ripresa del lavoro: non possono essere messe a rischio dall’1 per cento che vuole divertirsi». Mai sentito Sala definirsi pubblicamente «incazzato».
Un globale social-shock. Sorpresi invece i protagonisti della movida, imbarazzate le forze dell’ordine. «Da lunedì – dice Beatrice Freschi, 24 anni, impiegata di una concessionaria – è possibile muoversi in città. Non c’è nulla di illegale a farsi una corsa e due chiacchiere con un’amica. Mangiare il cous-cous dalla vaschetta su una panchina, senza abbassare la mascherina è impossibile. Non è giusto presentarci come criminali».
Dietro la bufera, un carretto a pedali che da anni vende birra lungo l’Alzaia del Naviglio Grande, vista sul ponte che ricorda Alda Merini. «Un po’ di ragazzini – dice Maurizio Temporin, 31 anni, regista – si sono fermati per comprare da bere. Non è stato un assalto, le immagini sono schiacciate e ingrandite. Il problema è il caos delle regole: incomprensibili, irrazionali e inapplicabili. I vigili urbani in pochi minuti hanno comunque disperso i cosiddetti assembramenti».
Il punto è questo: scivoloso, sui Navigli, distinguere tra «attività motoria» e struscio, tra take-away e happy hours, tra mascherina e foulard girocollo, tra «distanziamento sociale» e festa mobile. «Basterebbe il buon senso – dice Carlo dall’Asta, 35 anni, barman del Mag, cuore degli aperitivi cenati – invece ogni ambiguità viene sfruttata per tornare a vivere come se tutto fosse passato. Sala ha fatto bene a ricordare che a Milano si continua a morire tanto e che se non siamo responsabili anche l’economia crolla per sempre. Acquistare un cocktail o un gelato e spostarsi senza imbarazzare gli altri, è un sacrificio oggi sopportabile. L’incubo vero è non poter riaprire realmente Milano dal primo giugno».
Il problema è l’esasperazione. Tutti chiusi in casa dai primi di marzo: dura. In più: è scoppiato il caldo e sono tornate le zanzare. Nelle case si bolle. «E noi – dice Antonio Gatto, 47 anni, montatore di palchi per concerti – dovremmo prendere il sole con la mascherina sul naso e correre senza fermarci mai a parlare con qualcuno? Se hanno riaperto i locali per l’asporto, non possono multare chi tira fuori la bocca per bere quello che compra. È vietato? Allora richiudano tutto e stop: ma poi non lamentiamoci se manca il lavoro».
Più difficile del previsto, «convivere con il contagio». E la verità è che sui Navigli, come nei parchi appena riaperti, si esagera e ci si sfoga. Nessuno è senza mascherina. Quasi tutti però fatti due passi la calano sul mento, come una pistola nella fondina da estrarre solo davanti al nemico. «Mai viste – dice Silvia, 35 anni, direttrice artistica di una casa d’alta moda – quelle a 50 centesimi. Media: 3 euro. Con la crisi che morde, pochi la cambiano ogni giorno. Pensiamo a una famiglia di quattro persone: spesa quotidiana 12 euro, 360 al mese. O mangi, o compri mascherine omologate. Risultato: quelle che girano sono vecchie di settimane, bombe atomiche. È questo l’obbligo che dobbiamo rispettare per fingere di essere buoni?».
La smentita, onestamente, arriva dai templi dell’ex Milano da bere: il Pinch, il Sofà, il Mag, lo Zog, ritrovo degli artisti. Ore 19: all’esterno, coppie che si baciano e che si abbracciano, gruppi seduti in cerchio con le birre tra le gambe. Non passa un grissino, tra uno e l’altro. «Questa mattina – Yane Ricardo, 34 anni, gelataia di fronte alla Ripa – ho fatto la coda al supermercato. Molto peggio, anziani uno sopra l’altro. Qui, per tre ore la sera, ci sono duecento ragazzi in due chilometri. Non arrivo a 100 euro di incasso al giorno. Il dramma è piuttosto la plastica che siamo costretti a usare per l’asporto: alla chiusura scaliamo le montagne fuori dalla porta».
L’aria però, dopo la sfuriata di Sala, è cambiata. Crollo di aperitivisti. Bende anche sugli occhi. Navigli assediati da vigili, esercito, carabinieri, finanza e polizia. Pure il sindaco-sceriffo a controllare chi passa. Le multe, per chi azzarda una mano nella mano, vanno da 280 a 600 euro. In giro, così, quattro gatti. Troppo caro oggi lo spritz. «Volevano riassaggiare lo sballo – dice Giuseppe Lapiana, pizzaiolo del Forno 21 – bene: lo hanno avuto».