la Repubblica, 9 maggio 2020
Un ricordo di Franco Cordero
«Qui posso studiare», diceva Franco Cordero mostrando con un gesto della mano i libri che lo circondavano nello studio, fuori casa, dove si ritirava ogni giorno dal mattino presto tra prime edizioni, volumi rari, codici antichi. Dopo una vita passata a insegnare, il professore voleva soltanto studiare, continuare a imparare, sapere. Il rigore piemontese, quasi ascetico, dava un ritmo metodico alle sue giornate, interrotto soltanto dall’ora fissa in piscina, pure questa imposta come esercizio: anche se in acqua, probabilmente, continuava a pensare diritto.
Nel suo pensiero c’è l’impronta costante della filosofia del diritto, che coltiva dopo aver seguito Giuseppe Grosso nella storia del diritto romano. Qui cresce il culto per Dike, figlia di Zeus e di Temi, costretta a lasciare la terra per la vergogna della corruzione umana, trasformata in dea della giustizia e – come Astrea – stella nella costellazione della Vergine. Dike, nel disegno di Cordero, continua a lottare per stabilire il suo ordine nell’uguaglianza degli uomini, che in ogni epoca le professano devozione mentre la tradiscono quando salgono al potere.
Il potere compare davanti al professore quando l’Università Cattolica gli toglie la cattedra, nel 1969,escludendolo dall’insegnamento, perché il libro Gli osservanti viene accusato di non essere conforme all’ortodossia. Un reato di pensiero, negli anni in cui la contestazione spalanca le università e mette in crisi l’autoritarismo accademico. Cordero replicherà con la Risposta a monsignore, raccontando l’ultima ora sul rogo di un eretico a cui i monaci strappano una conversione, per poi mandare comunque avanti il carnefice, che lo strozza: «Ogni particolare della messinscena traspira amore del prossimo – scrive il professore —, servizio disinteressato di Dio. Pensi, Monsignore, queste cose capitavano ancora quando era già nato quel mostro di Voltaire».
Con l’incarico alla Sapienza, nella cattedra di Giuseppe Sabatini, c’è l’incontro della vita con la procedura penale. Cordero scriverà (e riscriverà dopo la riforma del codice nel 1988) un manuale che resta fondamentale, e continuerà a studiare la procedura fino alla fine. È questo rigore scientifico che lo porterà ad occuparsi della vicenda politica italiana, proprio negli anni del potere berlusconiano più forte e nello stesso tempo più esposto alle debolezze della tentazione costante di deformare il diritto a vantaggio personale, abusando del potere legislativo a vantaggio dell’esecutivo.
Furono anni di dialogo e confronto con Giuseppe D’Avanzo, il reporter-editorialista di Repubblica che indagava l’uso degli strumenti giuridici nella presa del potere della destra italiana. Dike veniva offesa. Cordero avviò una lunga collaborazione con Repubblica che districava implacabilmente gli inganni e i sotterfugi della manomissione della procedura, mentre risvegliava la sua personale passione civile, rendendola pubblica e manifesta.
Senza nemmeno volerlo, il professore diventava un attore della vicenda politica più controversa e incandescente degli ultimi decenni. Poco alla volta l’affresco politico lo cattura, suscitando il suo estro narrativo, l’invenzione linguistica, le metafore coltissime, le raffigurazioni grottesche, i giudizi ironici e definitivi, in un quadro ricorrente in cui tornavano con Berlusconi Verdini, Renzi, Dell’Utri, Napolitano. «Leggi ordinate à la carte, in un gaudioso marasma», «figure d’atlante antropologico», «ingordi boy scout», «Gran Visir e insostituibile alchimista», «mirabilia quotidianamente annunciati» per nascondere «lo scempio dei giudizi, che manda in fumo processi e delitti, con la procedura che diventa fuga dall’equazione penale». Restano le immagini fantasiose, dilatate e pertinenti dell’"Egoarca”, dell’"Egolatra”, del “Re Lanterna”, e infine il fantasma grandioso e terribile del “Caimano": evocato da Cordero e poi diventato così perfetto nell’allegoria e così riconoscibile da camminare da solo nella lunga penombra italiana di quegli anni.