Da almeno trent’anni Andrew Wylie è uno dei più potenti, stimati e temuti agenti letterari dell’intero pianeta. Rappresenta molti dei nomi più importanti della letteratura contemporanea come Pamuk, Amis e Rushdie, e gestisce la proprietà intellettuale di autori scomparsi quali Roth, Carver e Borges, e, tra gli italiani, Tomasi di Lampedusa, Calvino e Bassani. Ho citato solo pochi nomi tra gli oltre mille clienti della sua agenzia, che comprende anche personalità di campi diversi quali Al Gore e David Cronenberg. Nativo di New York e laureato a Harvard, Wylie ha un passato da poeta che è il primo a minimizzare: è un uomo che vive nel presente, ed è impressionante l’energia che riesce ad emanare, a 73 anni, in ogni sua attività.
La costrizione forzata della crisi pandemica gli appare inconcepibile, ma continua a lavorare alacremente da casa, seguendo con preoccupazione quanto sta avvenendo nel mondo dell’editoria. Il suo approccio è sempre estremamente pragmatico, he makes no bones, come dicono in America, e sdrammatizza la decisione del Salone di Torino di organizzare solo eventi online. «Mi sembra una scelta sensibile e di buon senso» riflette dalla casa di Water Mill, dove si è ritirato in attesa della fine del lockdown. «Parliamo di un evento con migliaia di spettatori, e le date sono troppo vicine rispetto al momento critico, che potrebbe non essere ancora finito. Per la stessa natura dell’evento sarebbe stato inconcepibile pensare a forme di distanziamento sociale».
Che impatto ha la pandemia nel mondo dell’editoria?
«Mi permetta di partire dalla mia esperienza personale: sia il mio ufficio di New York che quello di Londra stanno lavorando a pieno ritmo, anche se da remoto. Questo significa che il settore non si è fermato».
Che cosa sta succedendo in termini di vendite?
«È ancora presto per dirlo, ma una delle attività che sono state praticate in questo periodo è stata leggere. La mia impressione è che, a dispetto di catastrofismi, il settore è stabile. C’è solo un elemento che ho notato: alcune case editrici si trovano in carenza di liquidità, e quindi tendono a diluire i pagamenti, diminuendo quelli alla firma».
In particolare nel mondo dei media, si è avuta una crescita enorme di eventi dal vivo e una flessione significativa e costante delle vendite della carta.
«È una tendenza che non tende a scemare, ma sulla quale bisogna fare una serie di riflessioni. Innanzitutto mortifica la gioia della lettura, che rappresenta un elemento di primaria importanza. Inoltre, gli eventi, per quanto a volte memorabili, portano con sé il rischio che lo spettatore che va a sentire Pamuk si illude di averne anche appreso e goduto l’opera letteraria. Se l’evento non è preceduto o seguito dalla lettura dell’autore si rischia la superficialità».
Una decina di anni fa, nel mondo dell’editoria, sembrava che l’ebook avrebbe sostituito il libro di carta. Oggi quel fenomeno sembra essersi fermato.
«Il boom generato dalla novità si è fermato, e attualmente in America l’ebook rappresenta circa un terzo della quota di mercato. Ma anche qui è doverosa una premessa: l’ebook è uno strumento utilissimo per un tipo specifico di lettura, più vicino al giornalismo o al reportage rapido. Chi ama la letteratura predilige giustamente l’oggetto libro nella sua fisicità, e non mi riferisco solo alla narrativa, ma anche alla saggistica e ai libri di storia. Tuttavia, come agente, non posso che avere la massima considerazione per una quota di mercato così significativa».
Che importanza hanno i festival per le vendite?
«In termini di vendite hanno un rilievo modesto, ma ci sono altri elementi da non sottovalutare, quali il piacere dell’autore a essere celebrato. Il nostro mondo deve tenere insieme molti fattori diversi, e non si può pensare sempre all’immediato guadagno».
Esiste un fenomeno editoriale che ritiene negativo?
«Mi viene in mente Cinquanta sfumature di grigio: negli ultimi anni credo che abbia rappresentato uno dei momenti più imbarazzanti per l’intera cultura occidentale».
Una decina di anni fa lei ha avviato un progetto editoriale chiamato Odissey insieme ad Amazon, nel quale rendeva disponibili classici quali "Lolita", scavalcando di fatto gli editori. Nel giro di poco tempo ha chiuso l’iniziativa, paragonando Amazon all’Isis e dicendo «se dovete scegliere tra un’epidemia e Amazon, scegliete l’epidemia».
«Parlare di epidemia in questi giorni può sembrare di pessimo gusto, ma credo sia chiaro cosa intendessi: ho toccato con mano come Amazon abbia intenzione di trasformare tutto in digitale, mortificando la percentuale di royalties per gli scrittori. In realtà non è altro che un servizio di consegna a pagamento, senza interesse per la cultura e per l’educazione. E soprattutto senza coscienza».