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 2020  maggio 08 Venerdì calendario

I 40 anni di Pacman

Pallina gialla, divora-tutto, la trionferà. Insert coin, e benvenuti in un mondo parallelo e alternativo di progresso. Rispetto ai flipper era già fantascienza. Nei bar, i loro templi, tutti (e tutte) a giocarci con le cabine arcade. Capsule misteriose, macchine del tempo con cui intrattenere un rapporto carnale nel senso di Cronenberg. Un taglio alle pesantezze degli anni Settanta, e via: il 10 maggio 1980 nasceva Pac-Man, oggetto di culto e scacciapensieri di una generazione adesso al governo.
Il videogame precursore e per eccellenza compie 40 anni: lo festeggiamo, idealmente, con Video killed the radio star dei Buggles in heavy-rotation sulla Mtv nascente. Un inno inaugurale all’edonismo e a quella bulimia dei consumi che marchierà a fuoco il nuovo decennio. Clonato e riformato infinite volte, Pac-Man rivive oggi nelle app degli smartphone e sulle console principali, oltre che su Internet.
A inventarlo fu un ragazzo all’epoca 22enne, Toru Iwatani. Lavorava alla Namco, fece la fortuna di quest’azienda giapponese specializzata nel campo. Con tanto di leggenda fondante: l’idea del personaggio centrale gli sarebbe venuta mentre era a cena con degli amici, osservando una pizza a cui mancava una fetta. La creatura yellow più celebrata della storia prese le mosse proprio da questa banale visione? In parte sì e in parte Toru, qualche anno dopo, confessò che “in giapponese la forma della bocca è quadrata, non circolare come la pizza… e così ho deciso di arrotondarla”.
In patria il videogame fu commercializzato 18 mesi più tardi, col nome di Puckman (dal nipponico “pakupaku”, ergo “chiudere e aprire la bocca”). Solo che quando si trattò di invadere il mercato nordamericano l’assonanza con “fuckman” era un pericolo forte, dietro l’angolo, a rischio troppi segmenti di pubblico. Da qui il passaggio definitivo a Pac-Man, benché altre nazioni avessero provato, inizialmente, a tradurre il titolo. Con singolari derive esotico-autarchiche: in Brasile divenne “Come–Come”, in Spagna “Comecocos” (ossia “mangiatore di cocco”), mentre in Italia la denominazione prescelta fu Gabo-Gabo. Tra la via Emilia e il West, e il realismo magico di Gabriel Garcìa Marquez.
Un minuto di raccoglimento per i veggenti stra-sconfessati dal mercato: poco dopo il suo debutto, nel novembre del 1980, presentato all’Amusement and Music Operators Association (AMOA) di Chicago, qualcuno lo etichettò come “troppo carino per aver successo”. Le classiche ultime parole famose: in 18 mesi la Namco vendette 350 mila macchinette dedicate, e il Pac-Business pesò per miliardi di dollari.
In virtù anche di un merchandising epocale: parliamo di un evergreen della cultura di massa, celebrato al cinema, in tv da Hanna-Barbera, stampato in copertina su Time e su milioni di felpe, zaini, gadget e t-shirt. Ma il suo creatore conobbe una gloria astratta e teorica: né aumenti né bonus, o dividendi per lui. Quando si dice l’etica confuciana applicata al lavoro. Gioco basico e a due dimensioni, Pac-Man: lontanissimo, quindi, dalle realtà aumentate correnti. Eppure era, resta, una meraviglia disarmante nella sua semplicità. Bisogna fuggire da quattro fantasmini in un labirinto, mangiando ossessivamente pallini e frutti: più ne pasteggi, più lungo sarà il tuo percorso.
Attenti però agli spettri-monelli Blinky, Pinky, Inky e Clyde: non fatevi distrarre, perdereste la vita, a meno che non siete riusciti nel frattempo a ingollare le pillole speciali, le power pills, un po’ come gli spinaci per Popeye.
Un quadro tira l’altro, fino al mistico 256esimo livello: l’ultimo stadio, il non plus ultra. 3.333.360 punti: è questa la quota di punteggio perfetta e suprema. Un record pare raggiunto, nel 1999, da Billy Mitchell, videogamer professionista del Florida. Nel 2010, per celebrare il suo trentesimo compleanno, Google caricò il suo primo Doodle giocabile. Consacrandolo, appunto, a Pac-Man: è ancora reperibile, e ogni volta la tentazione è di passarci ore. In quella singola giornata, giusto per fotografarne l’immutata potenza d’urto, risucchiò quasi 5 milioni di ore di lavoro nel mondo.
Spostandoci offline: nel 2015, a Tokyo, si sono assembrate 351 persone tutte vestite di giallo per dar vita alla più grande immagine reale di Pac-Man di sempre. Oggi costituirebbe un reato, al tempo valse l’ingresso nel Guinness dei Primati.
Un’icona pop e del videogame divertente e gentile, che piacque subito alle donne: cominciarono a illuminare con la loro presenza le sale giochi, sino ad allora infestate da raggi laser, astronavi e guerre di ogni tipo. Sulla nostra terra e altrove.
L’imperativo della violenza gratuita venne spazzato da una tecno-rivoluzione incruenta. Non a caso le faccette, le emoticon somigliano tantissimo a quelle sfere color canarino, dalla bocca spalancata in una specie di sorriso, affamata di vita.