Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2020
I soldi sporchi che girano per l’Europa
Nel palazzo di vetro della Danske Bank in Estonia, a due passi dal centro storico di Tallinn, i soldi non arrivavano in contanti. Venivano accreditati sui conti di 15mila clienti stranieri, in gran parte russi e azeri, attraverso banche di Mosca e San Pietroburgo, di Nicosia, di Limassol e di Londra. Tra il 2007 e il 2015, oltre 200 miliardi di euro – circa 7 volte il Pil dell’Estonia – sono transitati dalla banca di Tallinn. Migliaia di conti erano intestati a società di Panama, Belize, Isole vergini britanniche e Seychelles. Le società non avevano attività né dipendenti e i beneficiari erano schermati da prestanome. Enormi quantità di soldi venivano trasferite più volte al giorno in un giro vorticoso di triangolazioni, prima di terminare la corsa in entità offshore.
Il più grande scandalo di riciclaggio bancario di tutti i tempi, venuto alla luce nell’autunno del 2018, è alla base della decisione della Commissione europea di istituire un’Agenzia europea contro il riciclaggio che assuma su di sé un ruolo delicato e finora assente nell’impalcatura comunitaria: quello di coordinare e sovrintendere all’azione delle Financial intelligence unit (Fiu) dei Paesi membri.
Negli ultimi tempi questo ruolo è stato in parte affidato all’Autorità bancaria europea (Eba), i cui poteri sono stati rafforzati ma che nei fatti non è stata dotata di risorse sufficienti per combattere un fenomeno di dimensioni incalcolabili. Negli ultimi due anni, rivelano al Sole 24 Ore fonti dell’Eba, l’agenzia ha potuto impiegare in media meno di tre persone del suo staff nell’attività di antiriciclaggio e di lotta al finanziamento del terrorismo. Da gennaio di quest’anno era previsto il rafforzamento del team con altre 4 persone (o risorse a tempo pieno equivalenti) mentre altre 4 arriveranno a gennaio del 2021.
Eppure i soldi sporchi che girano per l’Europa sono in aumento, almeno a giudicare dalla dimensione degli ultimi casi venuti alla luce. Negli stessi anni dello scandalo della Danske Bank, altri 2,9 miliardi di dollari provenienti dall’Azerbaijan passano dalla filiale di Tallin della banca danese e vengono sparsi per mezzo mondo. Arrivano anche in Italia e la Procura di Milano apre un’inchiesta.
Lo scandalo del maxiriciclaggio dei soldi russi e azeri ha coinvolto anche la svedese Swedbank e la danese Nordea. E ha portato nel 2018 al ritiro della licenza della Pilatus Bank di Malta che, a dispetto della sua piccola taglia, era parte di una rete che dall’Azerbaijan si irradiava verso Dubai, la City di Londra, le Isole vergini britanniche e Panama. Un network che fungeva da porta d’ingresso nella Ue di capitali dalle origini poco chiare. Sulla Pilatus Bank aveva indagato anche la giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, prima di essere uccisa il 16 ottobre 2017.
I soldi si muovono senza confini mentre le autorità antiriciclaggio dei singoli Stati membri lavorano quasi sempre da sole e riescono a coordinarsi soltanto con i Paesi che vogliono farlo. La lotta è impari. Per questo la decisione della Commissione Ue di istituire un’Agenzia europea è un passo che va nella giusta direzione.
Solo dalla Russia sono arrivati in Europa tra i mille e duemila miliardi di dollari negli ultimi anni. «Da quanto Vladimir Putin ha preso il potere c’è stata una fuga di capitali dalla Russia pari a un trilione di dollari», racconta da Londra al Sole 24 Ore il finanziere americano Bill Browder. Fondatore e Ceo di Hermitage Capital Management, uno dei primi fondi occidentali nella Russia post-sovietica, Browder è diventato un attivista politico per i diritti umani dopo che il suo avvocato Sergei Magnitsky è stato ucciso nel carcere di Mosca nel 2009. Sulla vicenda ha scritto un libro, “Red Notice”. «Questi soldi – continua Browder – provengono in gran parte da corruzione, attività criminali e illegali. Chi li possiede teme che vengano rubati e allora li sposta in Occidente attraverso quelli che chiamo i Paesi di transito: Estonia, Lettonia, Lituania e Cipro, prima di portarli a Londra, Ginevra o Roma. E penso che nei prossimi anni questo flusso aumenterà».
«L’Unione europea deve cominciare a riconoscere che questo è un problema della Ue e non dei singoli Paesi», spiega Oliver Bullough, giornalista investigativo inglese e autore del libro “Moneyland”, un’inchiesta su riciclaggio, corruzione e paradisi fiscali. «Il denaro non resta in Estonia, in Italia, in Austria o in Germania ma si muove continuamente da Paese a Paese. Una regolamentazione europea è necessaria». Ben venga, dunque, la nuova Authority antiriciclaggio.