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 2020  maggio 08 Venerdì calendario

A che punto siamo? Lo spiega Franco Locatelli

«Ci vogliono almeno sette giorni, dieci se vogliamo stare larghi, per verificare l’impatto delle misure adottate il 4 maggio. Quindi ne sapremo qualcosa di più tra il 12 e il 14 maggio. Fino a quel giorno non sapremo davvero la nostra situazione». Il professor Franco Locatelli è uno degli esperti più noti del Comitato tecnico-scientifico, apprezzato per il rigore, la competenza e anche per l’uso di un eloquio tanto cadenzato nel timbro quanto scientificamente funambolico nel lessico. 
Professore, per dirla con Fruttero e Lucentini, a che punto è la notte? 
«Siamo a un punto marcatamente migliore rispetto a qualche settimana fa. Basti guardare qualche cifra». 
Vediamole. 
«I pazienti nelle terapie intensive sono 1.311: il 3 aprile erano 4063. I decessi sono passati dai 900 del 27 marzo ai 274 di oggi. I soggetti che hanno contratto la Sars-CoV-2 sono 1.400. Numeri clamorosamente migliori».
C’è un «ma»? 
«Il ma è che non bastano per dire che siamo usciti dal tunnel. Siamo ancora nell’epidemia. Sono numeri, però, che documentano l’efficacia del lockdown. Abbiamo frenato un contagio al Centro-Sud che sarebbe stato drammatico». 
Il premier sta valutando di anticipare alcune riaperture e le Regioni scalpitano, esibendo i dati positivi. 
«Sono scelte che pertengono alla politica. Da medico le dico che solo dopo il periodo di incubazione, il 12-14 maggio sapremo l’impatto delle misure. Se si prendessero altre decisioni, lo si farebbe sulla base dell’esistente al 4 maggio». 
Alcuni Comuni riapriranno attività solo se l’Rt (l’indice di riproduzione) scenderà sotto lo 0,5. È una decisione saggia?
«L’importante è che l’Rt vada sotto l’1. È chiaro che più è basso, meglio è. Perché consente di liberare le strutture sanitarie che sono andate in affanno». 
Ci sono stati morti da Covid e morti da altre malattie, non curate in tempo. 
«Ci può essere stata una mortalità indiretta. Le chiamate per gestire il Covid hanno negativamente impattato sui tempi di soccorso per i malati da sindrome coronarica acuta, ischemia miocardica, incidenti cerebrovascolari. Siamo stati travolti». 
È cambiato qualcosa? 
«I ricoverati sono diminuiti e siamo passati da 5.500 letti di terapia intensiva a oltre 9.000. Ora lo sforzo del ministro della Salute è quello di dare stabilità a questi posti». 
Fare pochi tamponi non ha inficiato la validità dei dati?
«C’è stato uno sforzo importante: siamo a 2 milioni e 380 mila tamponi. Un numero tra i più alti mai raggiunti. È chiaro che sarà cruciale anche nella fase successiva, per implementare le strategie di contact tracing. Il corollario imprescindibile della app è il tampone». 
Per riaprire, bisognerebbe stabilire parametri certi in ogni Regione: posti letto, personale, attrezzature, monitoraggio. 
«È proprio quello che stiamo facendo. I posti letto, l’evoluzione epidemica e l’immediata reattività sono fondamentali». 
Ma alle Regioni sembra importare poco. Guardi la Calabria. 
«Noi diamo indicazioni, poi è la politica che decide». 
Giunto a questo punto, lei è ottimista o no? 
«Io curo oncopatologie dei bambini, ci mancherebbe che non fossi ottimista. Mi pare che gli italiani abbiano dato una prova straordinaria. Quindi guardo con un certo ottimismo al futuro». 
Per essere più ottimisti servirebbe un vaccino. O almeno qualche risultato dal plasma. 
«Sul plasma c’è un’attesa ansiosa della comunità scientifica. Aifa e Iss stanno attivando un protocollo di studio randomizzato. Mi lasci dire, e non ho confluenze d’interessi, che lo sforzo dell’Aifa è stato clamoroso. C’è stata una rivoluzione copernicana negli studi clinici di questo Paese. Parlandone con alcuni colleghi di altri Paesi ho sentito una grande ammirazione per quello che abbiamo fatto».