La Stampa, 8 maggio 2020
La Scala canta su Google
Guarda la coincidenza. Al clamoroso sbarco della Scala su Google Arts & Culture con 259 mila fra immagini e video si lavorava evidentemente da tempo. Ma è risultato pronto adesso, proprio quando il teatro a causa dell’epidemia ha sospeso l’attività, circostanza che dal 1778 si era verificata soltanto due volte: nel 1897-’98 perché i socialisti tagliarono i fondi e dal 1918 al ’21 per preparare l’Ente autonomo (perfino durante la Seconda guerra mondiale, con il teatro sventrato dalle bombe, le recite continuarono in precarie trasferte).
E insomma, alla presentazione ieri del nuovo progetto con il colosso di Internet, uno spazio online gratuito che permette di curiosare fra i tesori di duemila istituzioni culturali di 80 Paesi, il sentimento dominante era la nostalgia, dato che alle passeggiate virtuali per la platea o nel ridotto si preferiscono ancora quelle reali. In tutto questo attuale proliferare di spettacoli in streaming o vaticinii di «Netflix della cultura» va ricordato, coma ha fatto da casa sua a Vienna il sovrintendente Dominique Meyer, che «l’opera si fa in teatro con la folla che assiste alla rappresentazione». L’hi-tech non è la soluzione dei molti problemi del teatro musicale (fondamentalmente poi uno, è lo spettacolo più costoso che esista), ma un palliativo per la sua scomparsa: momentanea, si spera.
Intanto si conta di fidelizzare così il pubblico vecchio e di acchiapparne di nuovo, fra gli smanettoni meno webeti. Per come è realizzata, la proposta è rivolta a tutti. Spiega Amit Sood, direttore di Google Arts & Culture, che si vuole «giocare con la cultura». In questo caso, il patrimonio della Scala non è riservato solo a chi la frequenta. Ci sono perfino dei quiz, tipo: chi fu il primo compositore a scrivere per la Scala?, e dire che la micidiale Europa riconosciuta di Salieri toccò anche sorbirsela live... Da qui il tono da Alice nel teatro delle meraviglie di qualche didascalia. Però, ammette Meyer, «anch’io ho scoperto cose che non sapevo della Scala» e poi normalmente il pubblico non entra in sartoria o negli incredibili laboratori dell’Ansaldo, qui invece esplorabili.
A portata di clic (su artsandculture.google.com/partner/teatro-alla-scala, oppure dal sito del teatro) c’è davvero di tutto. Visite virtuali sul palcoscenico o sul terrazzo, autografi di Verdi e bozzetti di Hockney, locandine e figurini, quadri e fotografie, il Museo e l’Accademia. Speciali telecamere permettono di passare i dettagli al microscopio. Ovviamente scatta subito il feticismo dei costumi, specie quelli della Callas. Dalla Medea griffata Salvatore Fiume, un abito arcaico finto semplice, solo tre colori, bianco, rosa e nero a tempera su raso, alla mitica Anna Bolena di Visconti (e anche un po’ di Donizetti, volendo), dove Nicola Benois le fa indossare del velluto blu con perle a goccia (ingrandibili una per una) coperto da un mantello foderato di velluto rosso e bordato di pelliccia di volpe, altro che «less is more». Mentre per Fedora (sempre Benois) si va di broccato avorio e oro con perle, cristalli, paillettes e cappa foderata in raso rosa. Altro che delitto, l’ornamento è diletto.
«Tecnologia friendly», chiosa l’assessore alla Cultura della città, Filippo Del Corno, sperando che la Scala torni a essere presto quel «simbolo di rinascita» che storicamente è sempre stata, non solo per Milano ma per l’Italia. Intanto 92 artisti fra solisti, strumentisti e coristi hanno creato per l’occasione il primo Verdi in smart working della storia della Scala. Luca Salsi in salotto davanti al busto di Lui, Krassimira Stoyaniva fra le icone, due violoncellisti su una panchina nel parco: tutti insieme virtualmente per la scena del Consiglio del Simon Boccanegra, dove Verdi invoca invano per l’Italia la concordia civile. E dove si capisce che questo nostro melodramma in quarantena tutto è meno che un museo.