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 2020  maggio 08 Venerdì calendario

La Guerra Fredda punto.com

Il generale Herbert Raymond McMaster, fino all’anno scorso consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, è stato assunto come "direttore indipendente" da Zoom, la piattaforma di comunicazioni video più o meno controllata da Pechino che nel mondo virato dal Covid-19 è diventata quasi famosa come la Coca-Cola. Come se i cinesi avessero comprato un computer con tutti i principali dati strategici statunitensi per il prezzo di un manager d’alto grado. 
Questo nel pieno della controffensiva Usa contro la Cina, colpevole di aver generato il virus che ad oggi ha già ucciso molti più americani che la lunga guerra del Vietnam (75 mila in un paio di mesi contro 58.209 dal 1955 al 1975). Non sarà la "indipendenza" della sua carica a fare di McMaster un apolide. Semmai a convincere molti dei suoi ex colleghi che il famoso giudizio – «un’instabile testa di cavolo» - che su di lui espresse il generale dei marines Jim “Mad Dog” Mattis, già segretario alla Difesa, non fosse del tutto privo di fondamento. 
Nell’infodemia che avvolge in spessa nebbia i fatti importanti, concentrando il grosso del flusso mediatico sul computo di morti e contagiati da coronavirus più cronache connesse, l’innesto di McMaster nei vertici di Zoom potrebbe parere secondario. Ma questa piattaforma, usata mentre leggete da milioni di persone in videoconferenza nel mondo, è sotto scrutinio delle intelligence occidentali. Il timore, o meglio la certezza finora non dimostrabile pubblicamente, è che sia impiegata dallo spionaggio cinese. Quotata al Nasdaq e con il quartier generale a San José, California, Zoom conta su alcuni prodotti in Cina, dove risiedono 700 suoi dipendenti. Ed è verso e dal territorio cinese che vengono canalizzati dati sensibili raccolti dalla piattaforma. 
Celebrandone l’ingresso in famiglia, l’amministratore delegato Eric Yuan (Yuan Zheng) - miliardario sino-americano laureato all’Università di Scienza e Tecnologia dello Shandong, poi passato al setaccio di Stanford dopo che il visto d’ingresso negli States gli era stato respinto otto volte - ha definito McMaster «un’aggiunta benvenuta» nel board. E ne ha esaltato il medagliere militare e la «formidabile forza di carattere». Yuan, che condivide il suo cognome con la denominazione della valuta cinese, offre della sua impresa un ritratto ecumenico. Non ne sono convinti alcuni ex clienti di punta, che vi hanno rinunciato temendo per la protezione delle loro informazioni: da Elon Musk al Dipartimento per l’Educazione di New York, a Taiwan, l’altra Cina, provincia ribelle per Pechino ma indipendente di fatto. 
Il caso McMaster illustra i limiti della strategia di disingaggio (decoupling) che gli Stati Uniti hanno adottato nei confronti della Repubblica Popolare. Basata sull’assioma che Pechino intende scalzare Washington dal trono di massima potenza mondiale a partire dalla costruzione di una sua sfera d’influenza in Estremo Oriente, da cui escludere l’America. Insieme, con la proiezione non solo commerciale in Europa, via nuove vie della seta. La guerra dei dazi è episodio minore in un conflitto destinato a scuotere gli equilibri globali per anni, nel clima di moltiplicata incertezza e di depressione non solo economica surriscaldato dal Covid-19. Per Trump, poi, la campagna anti-Pechino dai toni volutamente acidi è la carta su cui puntare per far passare in secondo piano la disastrosa gestione dell’epidemia e farsi rieleggere a novembre: tutta colpa dei cinesi, io non c’entro. I sempre più frequenti casi di razzismo contro i “gialli”, anche se cittadini americani mostrano che qualche eco la retorica trumpiana la suscita. La cosiddetta de-globalizzazione, ovvero la de-americanizzazione del pianeta, ammesso possa compiersi, sarà comunque processo lungo e tortuoso, dai costi incalcolabili e dai rischi imponenti. Compreso il deragliamento della competizione geopolitica verso la guerra fuori tutto. L’interdipendenza sino-americana resta profonda, spezzarla sarà dura. Per informazioni rivolgersi a Yuan e al suo “direttore indipendente”.