Corriere della Sera, 7 maggio 2020
La pandemia riapre la guerra fredda
Incalzati dall’insistenza crescente dei loro Paesi per la riapertura dell’economia, in questo momento i leader mondiali subiscono forti pressioni per trovare un difficile equilibrio su tre fronti: tutelare la salute dei cittadini, far ripartire i settori produttivi e assicurare il proprio futuro politico. Questo è certamente il caso del presidente americano, Donald Trump, che si prepara a lanciare la sua campagna elettorale per la rielezione in autunno. Ma, a sorpresa, vediamo comparire su questa lista anche un altro leader mondiale oggi in affanno, ovvero il presidente cinese Xi Jinping: una nuova realtà che rischia di inasprire i rapporti tra Usa e Cina, spingendo i due Paesi verso la guerra fredda. Xi Jinping dovrebbe essere immune a questo genere di pressione politica. La Cina non è un Paese democratico e Xi ha impiegato gli anni trascorsi fin qui al vertice della nazione per consolidare il suo potere con misure straordinarie. Persino la costosa guerra dei dazi con gli Usa non è riuscita a scalfire il suo prestigio politico in patria. Ma le manovre di insabbiamento e depistaggio sul coronavirus, messe in atto da Pechino sin dall’inizio della crisi, hanno contribuito enormemente alla diffusione della pandemia, sia in Cina che nel resto del mondo, provocando dannosi contraccolpi alla leadership cinese in patria e all’estero.
Le posizioni difensive a oltranza, adottate dalla Cina, e la mancata collaborazione sullo studio delle origini e della diffusione del virus non le hanno certo fatto guadagnare le simpatie di molti; né è servito a nulla il tentativo – peraltro fallito – di avviare una «diplomazia della crisi», in quanto i presidi sanitari spediti in soccorso ai Paesi colpiti dal contagio si sono rivelati difettosi. A tutto ciò è seguito un atteggiamento minaccioso e ricattatorio per dissuadere quei Paesi che reclamavano un’indagine internazionale sulle cause del virus.
Non che la leadership statunitense possa dirsi fiera del suo operato. Trump ha fatto di tutto per sminuire la reale minaccia del virus nei primi giorni della pandemia e gli Stati Uniti sono ancora oggi in ritardo sulla tabella di marcia, soprattutto nel sottoporre la popolazione a test metodici e accurati. E mentre la Cina ha tentato, perlomeno, di mettere in guardia la comunità internazionale, il governo americano ha fatto molto meno. Per Trump, è chiaro, la preoccupazione più scottante riguarda il collasso dell’economia americana a breve termine, quell’economia che doveva rappresentare, grazie ai successi degli ultimi anni, la chiave di volta della sua campagna elettorale per la rielezione. Secondo i sondaggi, Trump si ritrova in svantaggio rispetto a Biden proprio negli Stati dove si decidono gli esiti elettorali. Ma se Xi Jinping e Trump soffrono per le ripercussioni politiche dei passi falsi commessi nelle fasi iniziali della pandemia, il coronavirus in realtà sta rafforzando nel lungo raggio tanto la Cina che gli Stati Uniti rispetto al resto del mondo. E la pressione politica in patria, sommata a un rafforzamento all’estero, produce una miscela altamente esplosiva. La forza della Cina è legata in misura preponderante alla sua posizione cruciale nelle catene di approvvigionamento globali, senza dimenticare la sua rilevanza nel commercio e negli investimenti internazionali. Il ruolo chiave che detiene, inoltre, nella produzione globale di materiale sanitario significa che la sua presenza resterà essenziale nella lotta al coronavirus, facendo passare in secondo piano le critiche internazionali piovute addosso a Pechino. La Cina si trova in una posizione vantaggiosa per far uscire rapidamente la sua economia dalla crisi, perché può far leva su sistemi di sorveglianza e isolamento che sarebbero improponibili nelle democrazie. La Cina, in altre parole, è indispensabile a rilanciare l’economia globale. E nel momento in cui gran parte del mondo lavorativo si sta spostando online, le sue nuovissime reti 5G contribuiranno a estendere la sua influenza geopolitica.
Quest’ultima considerazione è di importanza cruciale, ed evidenzia di pari passo il vantaggio di cui gode l’America: se alcune delle aziende tecnologiche, che oggi si prodigano per aiutare il mondo a superare l’isolamento e il distanziamento sociale, sono di matrice cinese, non dimentichiamo che quelle americane sono presenti in numero assai maggiore. E nessun altro Paese è in grado di competere con questi due giganti. Gli alleati dell’America, diffidenti verso la tecnologia cinese, sono chiamati a sottostare alle condizioni di Washington, perché le imprese high-tech, da cui essi dipendono, dovranno a loro volta adeguarsi. Mettiamo poi in conto l’indipendenza dell’approvvigionamento alimentare ed energetico in un momento di rinascita dei nazionalismi – per non parlare dell’egemonia del dollaro come bene rifugio nei periodi di incertezza – ed ecco che l’America si prepara a emergere ancora più forte da questa crisi.
Se andiamo a sovrapporre la debolezza politica a breve termine dei leader politici alla solidità strutturale a lungo termine dei loro Paesi, si capisce come Xi e Trump, per sottrarsi alle difficoltà interne, siano sul punto di affrontarsi apertamente, e lo faranno da posizioni di notevole forza sullo scacchiere internazionale. Per quanto possa risultare difficile accettare questa realtà, resta il fatto che il Covid-19 rischia di accendere la miccia di futuri sconvolgimenti geopolitici a livello mondiale.
(Traduzione di Rita Baldassarre)