Corriere della Sera, 7 maggio 2020
La banca che custodisce le sacche per l’emergenza
«Le sacche sono conservate qui vicino a me, nei freezer dei servizi trasfusionali. Sono congelatori con termostato per controllare h-24 la temperatura alla quale il plasma si conserva perfettamente, cioè -30 gradi». La voce della dottoressa Giustina De Silvestro, 66 anni, arriva dall’Unità operativa immunotrasfusionale che dirige all’Azienda ospedaliera di Padova. La signora del sangue, come la chiamano ormai tutti, da una parte crea riserve di plasma, dall’altra spera che non debbano mai servire.
La conferma arriva da più parti: i malati non gravissimi di Covid-19 guariscono con il plasma di ex pazienti diventati immuni. È così?
«I risultati avuti fin qui sono incoraggianti, sì, anche se sono la prima a dire che non potrà essere una terapia risolutiva. È una risposta alla malattia e per ora non ce ne sono altre. Troveremo farmaci che impediranno la replicazione del virus, ma oggi terapie specifiche non ne abbiamo, e avere a disposizione il plasma diventa importante».
Quindi andrete avanti nella raccolta anche se adesso il virus ha rallentato?
«Esatto. Lo faremo quanto più possibile e se mai dovesse esserci una recrudescenza dell’epidemia ci troverebbe più pronti di due mesi fa».
Su quanti donatori potete contare?
«Abbiamo in lista – cioè che hanno già donato o sono in programma per farlo – 140 ex pazienti, ma il nostro protocollo ne prevede fino a 300 e il numero può crescere. Finora hanno fisicamente donato una cinquantina di persone e di 30 abbiamo già le sacche di plasma. Preleviamo 600 millilitri da ogni donatore e dividiamo in tre dosi da 200».
Con il plasma di ciascuno quanti malati potete curare?
«Dipende dalla quantità di anticorpi che il donatore ha sviluppato. Se ne ha una quantità elevata una singola persona può essere sufficiente per aiutare un malato».
Per quanto tempo si può conservare il plasma?
«Può restare nei congelatori per alcuni anni, sicuramente almeno due. È un prodotto testato, sicuro, prelevato con criteri scientifici rigorosissimi e secondo diverse appartenenze di gruppi sanguigni. È materia preziosa».
Virologi e immunologi temono molto una nuova ondata epidemica in autunno. In quale scenario lei immagina oggi di esaurire le sue scorte di plasma?
«Su questo non ho risposte. È un grande punto di domanda per tutti e la risposta dipenderà da come si comporterà ciascuno di noi».
Per il donatore parliamo di «patentino di immunità»?
«Io direi foglio rosa di immunità. Perché sappiamo che ha gli anticorpi utili contro il virus però non sappiamo quanto dura tutto questo. Ce lo dirà solo il tempo. E infatti li monitoriamo per capirlo».
Perché non estendere la raccolta a tutti i centri trasfusionali del Paese?
«Sono stata contattata da moltissimi colleghi da tutt’Italia. Tanti centri, isole comprese, si stanno organizzando ma non in tutti i laboratori è disponibile la metodica per dosare gli anticorpi neutralizzanti, cioè quelli che servono per fare la guerra al virus. E poi ci vuole molto tempo anche a organizzarsi. Pensi solo agli ambienti: si tratta di maneggiare virus, i criteri di sicurezza devono essere estremi e so che di fronte a questo moltissimi colleghi alla fine si sono fermati».
Cosa le ha insegnato fin qui questa epidemia?
«La consapevolezza che possiamo trovarci completamente disarmati da un giorno all’altro. Credevamo di riuscire a governare quasi tutto, abbiamo farmaci tumorali, cardiovascolari, chirurgia all’avanguardia e poi... un virus rischia di far saltare tutto».
E umanamente che cosa ha imparato?
«Io amo la montagna e ho fatto tesoro di quello che ho imparato quando ho scalato la prima montagna della mia vita: lì ho capito cosa vuol dire condivisione, essere attenti e prudenti per sé e per gli altri. Si arriva in cima tutti assieme, non da soli».