La Stampa, 7 maggio 2020
Nel 2070 l’aria sarà irrespirabile
Obnubilato dalle tenebre della pandemia Covid-19, il cambiamento climatico ritorna prepotentemente alla ribalta con i dati allarmanti delle temperature atmosferiche delle regioni più sensibili (+20,75 °C in Antartide era difficile anche solo immaginarlo) e di quelle dove abitiamo, in un susseguirsi di record via via più caldi ogni mese che passa. E anche attraverso gli studi scientifici che prefigurano scenari futuri, sapendo che quella del clima è una scienza complessa, ma che è paradossalmente più agevole prevedere la tendenza climatica in Italia fra dieci anni, che non prevedere esattamente se fra due mesi pioverà o ci sarà il sole su Torino. In questi scenari, da qui a mezzo secolo, il cambiamento sarebbe più deleterio di quello scatenato da Sars-Cov2, e, a differenza di questo, sarebbe irreversibile. Come a dire che alcune regioni non si raffrescherebbero mai più. Il clima non è il tempo, ma quest’ultimo ha preso decisamente un indirizzo univoco verso il riscaldamento.
Due mesi pieni di lockdown più o meno duro in quasi tutto il mondo, con oltre quattro miliardi di persone chiuse nelle città e nelle case, e il blocco robusto dell’economia ci hanno fatto intravvedere che un altro sistema produttivo avrebbe un impatto molto minore sull’ambiente. La sparizione delle mefitiche nubi di ossidi di azoto da Wuhan e dalla Pianura Padana, due delle regioni più inquinate del pianeta, ha dell’incredibile, in quanto a capacità di reazione del sistema Terra, una reazione rapidissima e massiccia. Animali e piante che si riappropriano degli spazi occupati dai sapiens (e che precedentemente erano di loro pertinenza), acque più pulite, tutto dice che è di quel mondo che abbiamo bisogno, non di questo. Ma, finché perdura il pericolo coronavirus, il resto sembra non contare. Tantomeno il cambiamento climatico, sul quale continua lo scetticismo.
Conta solo il carbonio
Contrariamente a quanto si pensa, gli scienziati specialisti sono, invece, praticamente tutti d’accordo, il clima sta cambiando in maniera anomala e accelerata rispetto al passato. E ciò dipende quasi totalmente dalle attività produttive dei sapiens. In passato, invece, i cambiamenti dipendevano largamente da fenomeni naturali: l’energia del sole, la distribuzione dei continenti, le variazioni dell’orbita terrestre, il cambiamento delle correnti oceaniche e, naturalmente, la presenza di carbonio in atmosfera. Le prima quattro cause, però, mutano molto lentamente, tanto da renderle ininfluenti su tempi così serrati come quelli attuali. Dunque oggi conta solo il carbonio, che, guarda caso, è anche il solo parametro su cui gli uomini possono influire bruciando combustibili fossili, che restituiscono in atmosfera carbonio estraneo ai cicli naturali. Le quantità emesse dai sapiens equivalgono a circa trenta miliardi di tonnellate di anidride carbonica, meno rilevanti dei 770 miliardi che la Terra mette in gioco naturalmente, ma molto significative, perché si tratta di sistemi all’equilibrio, in cui anche un solo milione di tonnellate può fare la differenza. E l’anidride carbonica infittisce la «serra» naturale della nostra atmosfera, impedendo ai raggi solari che hanno raggiunto la superficie terrestre di disperdersi nello spazio, riscaldandola dal basso come mai nella storia dell’uomo.
Già in passato?
C’è sempre chi sostiene che l’atmosfera della Terra non si stia scaldando per colpa delle attività umane, ricordando che in passato abbiamo già registrato cambiamenti climatici naturali. Ma è un po’ come scagionare un accusato di omicidio portando a sua discolpa il fatto che le persone muoiono anche per cause naturali. Tant’è che solo meno dello 0,01% delle pubblicazioni scientifiche specialistiche (peer reviewed) nega il ruolo degli uomini nell’attuale cambiamento. E i ricercatori, da decenni in tutto il mondo, si parlano solo attraverso gli articoli pubblicati, non attraverso le interviste ai media. La vera differenza è che sul nostro pianeta, in tempi storici, il clima è spesso cambiato localmente, ma negli ultimi anni sta mutando a una velocità molto maggiore di quanto registrato in passato. E su tutto il globo.
Dunque il cambiamento climatico farà più danni e vittime della pandemia che, però, paradossalmente, ci ha sbattuto in faccia una contraddizione ancora più pesante: ci addolorano le 300.000 vittime che Covid-19 ha mietuto in tutto il mondo, ma non ci impressionano tanto i 4 milioni di morti in più, rispetto alle medie «normali», che l’Oms segnala da tempo a proposito dell’inquinamento atmosferico. 80.000 solo in Italia, quando per il virus ne piangiamo, per ora, molto meno della metà. Perché? Perché clima e aria non si toccano (come il virus), ma non sono immediatamente mortali o infettive: nessuno sembra soffrire conseguenze gravi direttamente a causa del clima che cambia. In realtà non è affatto così, ma il legame fra alcune drammatiche conseguenze e tragedie vere e proprie (per esempio i morti di fame e di sete, oppure i naufraghi migranti, o le vittime delle alluvioni) e il cambiamento climatico, pur essendo diretto causa-effetto, è nascosto, e fatica a venire alla luce. Soprattutto in termini di comunicazione. E poi il cambiamento sembra sempre lontano, fra dieci anni o venti, dimenticando che, proprio perché si tratta di un sistema complesso, le cose potrebbero precipitare vertiginosamente. I ricercatori già hanno mutato le previsioni al peggio: +7,5°C (invece dei 3 modelli precedenti) entro il 2070, con un terzo della popolazione mondiale costretta a vivere al di sopra dei 29°C di temperatura.
La deforestazione
La realtà è che non amiamo sentirci in colpa per le avverse previsioni ambientali, non ci piace pensare che dipendano dai nostri stili di vita e cambiare abitudini. Semmai possiamo incolpare solo una parte dei sapiens o altri viventi o il destino cinico e baro o gli dei. È esattamente quanto avviene con Sars-Covid2, con la non trascurabile differenza che la minaccia è concreta e i morti li abbiamo visti andare via con i camion militari in percentuali stratosferiche (+49% rispetto alle medie precedenti della mortalità in Italia, quasi +600% a Bergamo). Impossibile fare finta di niente. Ma sulle cause e la diffusione la stessa indifferenza: le ultime pandemie partono dalla deforestazione per fare spazio alle nostre attività produttive, che mette sotto stress i pipistrelli, principali portatori degli ultimi ceppi virali. Grazie al loro super sistema immunitario i pipistrelli resistono, ma trasmettono con maggior vigore la carica virale a ospiti-serbatoio o direttamente all’uomo. Il pesante inquinamento atmosferico di polveri sottili sembra poi favorire lo spostamento massiccio in atmosfera dei patogeni. Ma anche qui, la responsabilità sarà dei cinesi o della Spectre, tutto fuorché colpa nostra. Infine, riavviando l’economia, si rischia di ricominciare peggio di prima, inquinando per non investire nella riconversione ecologica che, seppure con difficoltà, era iniziata. Gas e carbone per fare energia nelle centrali, tutti con l’auto propria (a combustione), pur di non prendere la metro o la bici, in città. Fino alla prossima pandemia o fino a che la crisi climatica farà perdere più palesemente vite e benessere. Prima di quanto ci ostiniamo a sperare.