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 2020  maggio 07 Giovedì calendario

Che pensioni lasciano i giovani morti per Covid

Sono meno del 5% dei morti totali per Covid 19: 1.255 al 4 maggio, le vittime più giovani del coronavirus. Avevano tra 20 e 60 anni. Non conosciamo le loro storie. Ma sappiamo che, se erano lavoratori e avevano coniugi e figli a carico, hanno lasciato loro in eredità non solo lo strazio immenso, ma anche una pensione di reversibilità da fame. E questo è tanto più vero per gli under 50: 295 persone decedute per Sars-Cov-2 al 4 maggio, secondo i calcoli dell’Istituto Superiore della Sanità.
Molti tra loro, se non tutti, ricadevano per intero nel sistema contributivo di calcolo della pensione. Prendi quanto hai versato: questa la regola. E se muori giovane – con 10-15-20 anni appena di versamenti – lasci a tua moglie o tuo marito il 60% della pensione che ti sarebbe spettata, come prevede la legge per tutti. Ma che in questo caso si traduce in una mini-pensione da 200-300 euro. Tra l’altro neppure integrabile al minimo, come succede a chi ha assegni al di sotto della sussistenza. Storture della legge che si applica a quanti hanno iniziato a lavorare dopo il 1996, totalmente “contributivi”: pensioni deboli se hanno buchi, non integrabili se basse.
Nel caso delle vittime di Covid, la storia è ancora più surreale. In questo caso non si può neppure applicare l’anzianità convenzionale, introdotta dalla legge 222 del 1984: se hai lavorato pochi anni, ad esempio 5, ti ammali e diventi inabile al lavoro, alla tua morte la pensione di reversibilità viene calcolata con una maggiorazione contributiva. Come se avessi lavorato non 5 ma 40 anni. Per attivare questa maggiorazione devi fare domanda di inabilità all’Inps, un ispettore ti deve visitare e riconoscere l’inabilità. Come farlo se sei precipitato nel vortice del coronavirus? Portato in ospedale in piena pandemia, messo in terapia intensiva, allontanato dai parenti, intubato? «Sarebbe un atto di giustizia applicare l’anzianità convenzionale a tutti i lavoratori morti per Covid, basta una semplice modifica alla legge 222, si può fare nel prossimo decreto di maggio», propone Mauro Paris, bergamasco, segretario organizzativo dello Spi Cgil Lombardia. «Se ho un tumore, ho tempo per ragionare sulla mia inabilità e farla riconoscere da Inps. Se ho il virus, no».
Anche Ezio Cigna, responsabile previdenza Cgil, condivide la proposta ma allarga lo sguardo: «Bisognerebbe includere tutti i morti anche non per Covid di questo periodo. Dopo il 23 febbraio il Paese si è spento: chiusi gli uffici pubblici, complicato se non impossibile avere informazioni o fare domanda, ancora di più ricevere la visita del medico Inps, con il distanziamento e il lockdown. La situazione peggiore è senz’altro quella dei “contributivi” puri: assegni bassi, neanche integrabili al minimo».
L’anzianità convenzionale riguarda solo il trattamento previdenziale, ovvero la pensione che si lascia in eredità. Non ha nulla a che vedere con i contagi da Covid di origine professionale: 28 mila denunciati a Inail fino al 30 aprile, la maggior parte da operatori sanitari, di cui 98 mortali. Casi trattati come infortuni invalidanti o mortali con relative rendite e indennizzi.