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 2020  maggio 07 Giovedì calendario

L’insofferenza per gli effetti della montagna del debito

I giudici di Karlsruhe hanno chiesto alla Bce di spiegare che le misure eccezionali adottate seguono il principio di proporzionalità. Persino le sottili doti giuridiche della signora Lagarde, abituata nella sua brillante carriera di avvocato a difendere cause complesse, saranno messe a dura prova, perché questa sembra proprio la riedizione della probatio diabolica usata dalle corte medievali: l’inversione dell’onere della prova su una tesi ai limiti dell’impossibile, che suonava come una condanna preventiva. Anche se alla fine dovesse prevalere un compromesso, non si deve ignorare che la decisione riflette il malessere che – non solo in Germania – si sta diffondendo sugli effetti collaterali delle politiche monetarie eccezionali in vigore da tredici anni e che la pandemia ha ulteriormente prolungato per orizzonti indefiniti. Il problema di fondo è che la crisi 2007-08 era stata provocata da un livello di debito (pubblico o privato) mai raggiunto in passato, che da allora è ulteriormente aumentato. Piaccia o no, il debito che ci ritroveremo alla fine del 2020, compreso una gran parte del debito privato, è sostenibile solo se i tassi di interesse rimarranno ai livelli attuali (compresa una larga quota di tassi negativi) per un periodo di tempo prolungato e pressoché infinito. Ma questo ha due effetti collaterali gravi. In primo luogo, favorisce la formazione di bolle speculative in molti mercati finanziari: quello delle obbligazioni private, ad esempio, dove una gran parte degli emittenti è appena sopra o addirittura sotto l’asticella del junk bond, o quello dei mercati emergenti, dove si annunciano già alcuni default. È una condizione che ci stiamo trascinando almeno da quando è scoppiata la bolla dei titoli internet, cioè dall’inizio di questo travagliato secolo. Un ciclo finanziario fatto di boom e crisi sta ormai dominando quello economico e i prezzi delle attività finanziarie seguono cicli sempre più ampi, mentre gli investimenti in attività produttive languono e i prezzi di beni e servizi (quelli che rientrano nel mandato in senso stretto della Bce) rimangono fermi. Il secondo effetto collaterale è che, in un mondo di tassi di interesse così basso, soffrono i risparmiatori e gli intermediari tradizionali come banche e assicurazioni. I primi sentono sempre più forte l’angoscia di non trovare un impiego che coniughi sicurezza e crescita ragionevole nel tempo; i secondi assistono (soprattutto in Germania, guarda caso) a una costante riduzione della loro redditività di base. Secondo un calcolo della Bundesbank, con i tassi attuali in 5-6 anni l’80% delle banche tedesche avrebbe il principale margine (quello di interesse) in perdita ed entro nove anni più del 40% del sistema sarebbe sotto il livello dei requisiti patrimoniali, cioè quelli vitali per la licenza bancaria. Insomma, i giudici di Karlsruhe hanno intercettato sentimenti diffusi non solo in Germania: fino a quando le banche centrali saranno costrette a tirare l’elastico dei loro mandati e i principi di ortodossia per comprare titoli pubblici in forme che sono oggettivamente ai confini (se non ben oltre) la monetizzazione del debito? Fino a che punto saranno costrette a comprare junk bonds come sta facendo la Fed americana? A queste domande non c’è risposta se prima non decidiamo come intendiamo gestire la grande montagna del debito pubblico e privato. È stato l’errore fondamentale dopo la grande crisi finanziaria, quando si è sperato che l’exit strategy dalla politica monetaria di emergenza sarebbe venuta da sola con la ripresa dell’economia. Non possiamo ripeterlo ancora: tutti i Paesi, Europa in testa, devono cominciare a disegnare una strategia per affrontare la causa causarum delle crisi: l’eccesso di debito, pubblico e privato. Un problema, si badi, che, come dimostrano ricerche sempre più fondate, è strettamente intrecciato a quello della disuguaglianza crescente nella distribuzione dei redditi e quindi richiede risposte congiunte di politiche monetarie, fiscali ed economiche. Molte proposte sono state avanzate negli ultimi anni per quanto riguarda il debito privato o pubblico per dimostrare perché e come dobbiamo disegnare una strategia per uscire dalla trappola del debito. Bisogna prenderli in considerazione da subito, perché sono i pilastri che alla fine reggono il criterio di proporzionalità invocato dai giudici di Karlsruhe. Gli «effetti di politica economica» che invocano sono proprio quelli che riguardano i danni per risparmiatori e intermediari tedeschi, che hanno mosso l’esposto all’alta corte. Se non si dimostra che c’è un termine ragionevole a quegli effetti, anche se questa volta si dovesse trovare una soluzione, il fuoco continuerà a covare sotto la cenere e si estenderà oltre la Germania.