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 2020  maggio 07 Giovedì calendario

Il lavoro nero nei campi vale quattro euro l’ora

A Foggia come a Treviso il lavoro nero nei campi agricoli vale 4 euro all’ora, da cui vanno detratti 200 euro mensili per il vitto e 200 per l’alloggio. In tutto nelle tasche di braccianti, soprattutto extracomunitari privi di permesso di soggiorno, finiscono 50 euro.
È il fenomeno del caporalato, come individuato dagli investigatori dei carabinieri della Tutela del lavoro, al comando del generale di brigata Gerardo Iorio. Un fenomeno che non conosce differenze regionali e che fino al 2019 ha portato alla denuncia di 10mila 597 soggetti, 211 dei quali finiti in manette. Sono i risultati dell’articolo 603 bis del codice penale sulla “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” emessa nel 2016, che ha consentito un incremento degli accertamenti su tutto il territorio nazionale. Sotto la lente oltre all’agricoltura ci sono anche altri comparti, come l’edilizia, l’industria e il terziario. Stando ai dati, infatti, nell’ultimo anno sono state controllate 28.707 aziende, all’interno delle quali sono state verificate le posizioni di 96.398 lavoratori (dei quali 27.247 extracomunitari), di cui 16.808 in nero (6.mila senza permesso di soggiorno). Indagini che hanno consentito di emettere sanzioni amministrative per 47.585.169 di euro e di recuperare contributi per 8.143.918 di euro. Ma è nell’agricoltura che emergono le maggiori criticità legate allo sfruttamento di braccianti senza permesso di soggiorno. Gli atti giudiziari delle procure italiane illustrano, a vario titolo, il fenomeno dello sfruttamento con storie raggelanti. Dalle dichiarazioni raccolte dai carabinieri della Tutela del lavoro emerge – nel caso di Treviso – come i lavoratori erano «strettamente sorvegliati» e dormivano in alloggi fatiscenti. Erano impiegati nella raccolta dell’uva per 7-8 ore al giorno per sette giorni la settimana. «Il lavoro – è annotato negli atti – era retribuito con 5-6 euro l’ora, da cui andavano detratti da 100 a 200 euro mensili per il vitto e tra 100 e 200 euro per l’alloggio, a seconda che le persone dormissero per terra o in un letto, rimanendo in pratica a disposizione di ciascuno circa 50 euro per sigarette e schede telefoniche». A questo si aggiunga che «il luogo dove i lavoratori risiedevano, in numero eccessivo rispetto ai servizi igienici esistenti, era un appartamento privo di acqua calda, gas, energia elettrica», mentre «il vitto era sufficiente solo per chi arrivava prima: molti dovevano arrangiarsi con the e crackers».