Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  maggio 07 Giovedì calendario

Guicciardini tradotto nella lingua di oggi

Bisogna tradurre i nostri classici? «I testi originali – ha scritto Javier Marías – sono un po’ come le partiture musicali; le traduzioni sono come esecuzioni e adattamenti di ciò che senza di esse tace, e con il tempo impallidisce, o si trasforma in geroglifico per i discendenti di chi scrisse l’irripetibile e intoccabile e inalterabile testo». La nostra lingua ha cambiato quasi totalmente il suo statuto attraverso i secoli, i nostri classici sono spesso poco letti e poco editi. Per Amedeo Quondam, storico della nostra letteratura tra i più quotati, «si trova in libreria la Certosa tradotta in ottimo italiano e si può trovare anche Alfieri con tutte le sue quasi insormontabili difficoltà. È il caso di tradurre anche i classici in italiano moderno? La risposta non può che essere positiva». 
DIFFERENZE
In Francia o in Inghilterra i classici appaiono spesso con traduzione in lingua moderna e testo a fronte. In Italia la tendenza è iniziata da un po’ di tempo con qualche primo risultato e qualche discussione in merito. Si può sostenere, e non solo paradossalmente, che la Storia d’Italia sia meglio compreso dagli stranieri, che la leggono tradotta, non dagli italiani, respinti dalla sacralità del testo, al di qua del testo. Ma anche, e soprattutto, dal testo stesso. Claudio Groppetti ha impiegato dieci anni a tradurre «nella lingua italiana di oggi» le pagine di Francesco Guicciardini (escono ora nell’edizione Interlinea) che descrivono con spregiudicatezza e acume da diplomatico la perenne lotta per il potere sullo sfondo di un’Italia ormai in decadenza e ridotta a terra di conquista da parte di potenze straniere. Per lui è pressoché impossibile leggere nell’originale l’opera: è scritta nella prosa ampollosa e retorica del tempo, e poi Guicciardini, «andando su e giù per la stanza la dettava al suo segretario che come un computer registrava le parole trasformate in periodi lunghi più di una pagina, di impossibile lettura». 

I PRECEDENTI
Ci sono state in questi ultimi anni altri esempi significativi di traduzioni di classici. Pensiamo all’edizione del Principe di Machiavelli uscito nel suo cinquecentesimo anniversario e riscritto in italiano contemporaneo da Carmine Donzelli che scardinando il feticcio di un testo intoccabile ne prolunga la leggibilità. La difficoltà dell’impresa è nel restituire la complessità e, nello stesso tempo, la sinteticità del pensiero machiavelliano dove costrutti classicheggianti e singole parole latine convivono a diretto contatto con la sapidità della lingua viva, dell’espressione idiomatica, dell’espressione dialettale, degli anacoluti, dei bruschi passaggi da un oggetto all’altro.
Ma dicevo della discussione: non tutti sono d’accordo sulla traduzione. Per il linguista Luca Serianni «la distanza tra il francese moderno e il francese antico è più ampia, paragonabile più a quella che l’italiano ha con il latino che con la lingua di Dante. Ma anche da noi c’è stata una trasformazione significativa, un dinamismo evolutivo: avvertiamo l’italiano antico come distante da noi. Non sono tanto le singole parole a essere mutate, quanto il loro significato». Ma da qui ad arrivare a tradurre i classici in lingua moderna ne corre. «Certo che sono difficili. Ma non tanto da impedire, se sorretti da un opportuno sistema di note e commento, la lettura diretta. Anche perché accanto al valore artistico hanno anche una funzione di riconoscimento identitario, che sarebbe sacrificato con una traduzione. E poi non tutto può essere semplicemente tradotto: Dante o Boccaccio, per essere compresi, hanno comunque bisogno di un apparato di mediazione che aiuti il lettore, giovane o non giovane, a comprendere i riferimenti ai costumi medievali, o al quadro ideale di riferimento».

FAUTORI
Dall’altra parte, tra i fautori della traduzione, lo scrittore e storico della letteratura Marco Santagata, che ha pubblicato le Canzoni di Leopardi con versione in prosa a fronte. La parafrasi delle poesie ha lo scopo di svincolare il testo da pesanti apparati di note e di «lasciare libero il lettore, a cui siano stati forniti gli strumenti essenziali per capire la lettera, di costruire i suoi sistemi di senso e le sue strategie». Insomma un testo più fruibile e piacevole per il lettore medio di oggi. Il problema della fruibilità dei classici non riguarda solo la pesantezza degli apparati ma anche, e soprattutto, la distanza che si è venuta a creare fra italiano letterario e italiano odierno. Se fino a non molto tempo fa le minoranze colte del nostro paese avevano il privilegio di poter leggere agevolmente i classici, grazie al secolare legame fra lingua italiana e linguaggio letterario, oggi non è più così: «L’effetto congiunto di una lingua di comunicazione che non si nutre di quella tradizione linguistica e del vero e proprio salto antropologico che la società post industriale ha provocato nelle nuove generazioni, ha avuto come effetto quello di antichizzare nel volgere di pochi decenni l’intera tradizione letteraria nazionale. L’unico strumento adatto a superare il gap linguistico, soprattutto a scuola, è la traduzione, ovvero fornire testi in lingua originale con parafrasi o traduzione a fronte e con un apparato di note leggere».

ANTICIPATORI
Infine, sono stati gli scrittori in Italia ad anticipare la tendenza a tradurre i classici, Calvino con L’Orlando furioso, Celati con l’Orlando innamorato, Alfredo Giuliani con La Gerusalemme Liberata. Tradurre significa un campo esteso di possibilità dove si può sperimentare l’infinito tessere e ritessere del racconto che diventa orale, è riscritto, torna fiato condensato e disperso al chiaro di luna. Ripensando all’eccezionale e plurilinguistica esperienza del suo Boiardo, Celati diceva che «narrare significa riprendere una tradizione, qualcosa che si ripete sempre e comunque, ogni storia raccontata diventa materia di racconto per altri narratori». Così il traduttore moderno è anche un narratore che si aggiunge agli altri.