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 2020  maggio 06 Mercoledì calendario

Intervista a Caroline Criado Perez

Che viviamo in un mondo ancora a misura di maschio non è una novità, ma c’è una giovane donna che ha cercato di dimostrare questo senza proclami, dati alla mano. Caroline Criado Perez, classe 1984, ha scritto un libro dal titolo inequivocabile: Invisibili . Un bestseller, in via di traduzione in 23 paesi, che nel Regno Unito ha venduto 250 mila copie ed ora viene pubblicato in Italia da Einaudi Stile Libero. Sono più di 470 pagine, fitte di prove anche apparentemente irrilevanti, una galleria di piccoli atti di sessismo quotidiano che dimostrano come la società sia ancora dominata dagli uomini.

Caroline sta trascorrendo il lockdown a casa della madre, nel Rutland, contea inglese delle Midlands orientali: «È tornata dallo Yemen appena in tempo. Era lì a lavorare come infermiera per Medici senza frontiere. Siamo molto legate, mi sono trasferita a casa sua per aiutarla a fare la spesa e condividere con lei questo strano periodo». L’intervista avviene via Skype e non può non partire dal coronavirus: «Sto portando avanti le mie ricerche, è incredibile, non impariamo, continuiamo a non raccogliere dati disaggregati per uomini e donne. Sappiamo che muoiono più uomini, ma non sappiamo spiegare perché le donne abbiano una maggiore capacità di sopravvivenza».
Nel saggio sono moltissimi gli esempi di quello che Criado Perez chiama il “gender data gap”: la metà della popolazione del pianeta, quella femminile, è ignorata, non ci sono dati che la riguardino. Alcuni dei casi: i software di riconoscimento vocale hanno il 70% di probabilità in più di riconoscere le voci maschili; le automobili sono disegnate pensando agli uomini, ne consegue che le donne hanno il 47% in più di probabilità di riportare danni gravi dopo un incidente; i media imbarcano pochissime donne: tre quarti degli esperti coinvolti sono uomini e le donne rappresentano solo il 24% delle persone rilevate dalla stampa. Insomma, come dice oggi Caroline con un sorriso battagliero non c’è da stare allegre ma si può lavorare per denunciare: «È frustrante, tutti i dati medici, economici, culturali, sono raccolti da uomini e si basano sul corpo maschile, che è il metro di riferimento ».
Uno stereotipo astratto che condiziona l’andamento della storia e produce realtà?
«Produce una realtà non oggettiva, parziale. Il maschio che fornisce l’unità di misura di ogni ricerca è un individuo di razza bianca caucasica tra i 25 e i 30 anni che pesa 70 chilogrammi».
Come dobbiamo interpretare questa mancanza di interesse verso le donne? È semplice disattenzione o una cospirazione?
«Non parlerei di cospirazione, ma la disuguaglianza di genere è ovunque da secoli, nei film, in tv, nelle opere d’arte. È il sistema che è stato tramandato, la mentalità che si è affermata e il più delle volte ci siamo talmente immersi dentro da non rendercene conto. Succedeva così anche a me. Anni fa ho fatto una battaglia per portare una scultura femminile in Parliament Square a Londra. Mi sembrava un’ingiustizia che proprio davanti al parlamento di Westminster, tra le varie statue, non ci fosse una donna. Due anni fa è comparsa finalmente Millicent Fawcett, leader delle suffragette. È stata la mia prima campagna da attivista. Eppure per anni ero passata in quella piazza senza notare la stranezza. I pregiudizi sedimentano e fanno grandi danni».
In un libro molto noto “Il dominio maschile”, il sociologo francese Pierre Bourdieu spiega che spesso le donne introiettano questi stereotipi.
«Anche per me capire che si trattava di una percezione sbilanciata è stato un processo lungo. Negli anni del college questo tipo di questioni mi sembravano sciocche. Ero una tipa cool, istintivamente credevo nelle divisioni classiche, le donne emotive e gli uomini razionali, le donne gelose e gli uomini distaccati».
Quando ha scoperto il femminismo?
«Durante l’università ad Oxford, frequentando un corso di linguistica sul gender. Posso dire che sono diventata femminista partendo dalla grammatica ( ride ). Non mi ero accorta prima che il pronome maschile veniva usato spesso per indicare sia uomini che donne. Inizialmente mi parevano questioni irrilevanti, poi ho capito che erano spie di qualcosa di più grande. Le prospettive maschili assumono una dimensione universale. Un maschile generico. Perfino quando si chiede a un bambino “disegna un medico” o “disegna uno scienziato” in genere disegna un uomo».
Siamo ancora il “secondo sesso”?
«Lo siamo anche nel quotidiano fin quando non prendiamo la parola. Dobbiamo farci avanti, parlare. Nella visione di molti uomini l’immagine femminile è ancora legata al silenzio, a chi sta un passo indietro. Veniamo attaccate non per quello che diciamo ma solo per il fatto che parliamo, mentre per gli uomini è vero il contrario: vengono attaccati per qualcosa che hanno detto o fatto e che non è piaciuto».
Lei anni fa è stata oggetto di body shaming su Twitter, può ricordare cosa era successo?
«Mi ero ribellata alla decisione della Bank of England di sostituire la filantropa Elizabeth Fry sulle banconote con l’ennesimo uomo. Era il 2013, alla fine ho vinto, è comparsa Jane Austen sulle banconote da 10 sterline. Da lì è cominciata una campagna denigratoria su Twitter contro di me, insulti tremendi».
Uno degli esempi di pregiudizi più bello del libro riguarda la Philarmonic Orchestra di New York.
«Per anni è stata costituita da soli uomini, con pochissime e rare eccezioni. Fino a quando sono state introdotte le audizioni “cieche”, in cui la commissione giudicante non poteva vedere il candidato, che rimaneva nascosto da un paravento. Questo ha cambiato le cose. Già negli anni Ottanta le donne costituivano il 50% dei nuovi ingressi nell’orchestra».
Il suo libro è un appello? Crede che servirà a dare una scossa?
«L’ho scritto per fotografare una situazione. I cambiamenti purtroppo hanno bisogno di decadi. Già nell’infanzia si formano i primi pregiudizi. Ho due nipoti, uno di due e l’altro di 4 anni, e spesso guardo la tv con loro. È pazzesco quanto sessismo ci sia anche nei prodotti pensati per l’infanzia».
L’intervista si chiude. Sono rimasti inevitabilmente fuori dei dati. Un paio riguardano proprio i ragazzi: nei testi scolastici la presenza maschile è dominante con una proporzione di tre a uno rispetto a quella femminile e perfino nei videogiochi la maggior parte dei protagonisti sono uomini (le donne sono solo il 3,3%). «Per le eroine c’è ancora tanta strada da fare», ci salutiamo così.