la Repubblica, 6 maggio 2020
Il rincaro di frutta e verdura cambia il conto della spesa
Il coronavirus ritocca (all’insù) il conto della spesa degli italiani. I prezzi dei beni alimentari, certifica il termometro ufficiale dell’Istat, sono cresciuti del 2,8% ad aprile, molto più di un’inflazione rimasta ferma al palo. La realtà degli scaffali dei supermercati racconta però una storia più turbolenta: il costo delle arance è cresciuto del 24% nel primo mese di lockdown per la caccia “salutista” alla vitamina C e per l’aumento del 30% dei costi logistici. Il prosciutto cotto è balzato del 13% (dati Ismea) perché nessuno ha più voglia di accalcarsi ai banchi dei salumi e compra la busta pre-affettata, che è più cara. Il boom della domanda ha mandato alle stelle il prezzo dell’alcol – «noi all’ingrosso lo vendiamo sempre a 0,9 euro al litro» assicura il presidente di Assodistil Antonio Emaldi – mentre il costo di cavolfiori (+93%), broccoli, carote e cipolle è stato trainato all’insù dalla richiesta di verdura non deperibile.
«Il mercato da fine febbraio ha vissuto una rivoluzione – dice Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti –. La chiusura di bar e ristoranti, che coprono il 35% degli acquisti alimentari in Italia, ha messo ko carne, latte e formaggi stagionati, le frontiere blindate hanno bloccato import ed export, la mancanza di braccianti stranieri ha penalizzato i raccolti. E la gente, impossibilitata a muoversi, è stata costretta a far la spesa nel negozio più vicino a casa e non in quello più conveniente». Gli effetti sui prezzi sono stati però a macchia di leopardo. «Lo stop alle importazioni, per dire, ha fatto schizzare all’insù le quotazioni dei peperoni siciliani – spiega Fabio Massimo Pallottini, numero uno di Italmercati, i magazzini all’ingrosso tricolori – favoriti dal mancato arrivo dei concorrenti da Spagna e Nord Africa». «È la legge della domanda e dell’offerta, niente di più», spiega Lorenza D’Annunzio di Unaproa, l’associazione dei produttori di ortofrutta. Le fragole, per dire, sono partite al rialzo negli ultimi giorni. «Ma è perché mancano i braccianti per raccoglierle e ce ne sono poche – aggiunge –. Lo stesso capiterà per le albicocche che oltretutto scarseggeranno in questa stagione».
Il listino di carne bovina e suina vive invece una situazione bipolare: i prezzi all’ingrosso sono scivolati del 35%, quelli al dettaglio sono rimasti più o meno sui livelli pre-coronavirus o addirittura cresciuti come è successo ai wurstel (+11%) e alla carne in scatola (+6%) grazie al sostegno della domanda. «Viviamo un momento paradossale – dice Francois Tomei, direttore generale di Assocarni –. Siamo costretti a macellare i capi malgrado il crollo del loro valore per rifornire la grande distribuzione, ma le parti più nobili come filetto e roast-beef destinate di solito ai ristoranti finiscono diritte nei congelatori perché invendibili».
La corsa delle famiglie alle scorte ha tenuto a galla anche prodotti che – a rigor di logica e matematica – avrebbero dovuto scendere. Il prezzo del latte fresco sul mercato libero, orfano dei consumi per i cappuccini al bar, è sceso del 19%. Ma quello di un litro al supermercato (condizionato anche da quotazioni blindate da contratti pre-virus) è cresciuto del 2% e la mozzarella, con tutte le famiglie chiuse in casa a fare pizza, è salita del 5%. Alcune catene della grande distribuzione hanno provato a far barriera al caro-prezzi. «Noi abbiamo bloccato da subito e per scelta lo scontrino di 18 mila prodotti industriali anche di marca», spiega Domenico Brisigotti, responsabile food di Coop Italia. Carrefour lo ha fatto su 500 beni anche di prima necessità.
Cosa succederà ora? «Io penso che nel medio periodo torneremo agli equilibri e ai numeri di vendite del passato – dice Brisigotti –. Gli iper riguadagneranno il terreno perso a vantaggio dei negozi di vicinato e i volumi scenderanno, anche se lentamente, con la riapertura dei ristoranti». L’apertura delle frontiere e la fase tre risolveranno i problemi di import e logistica: «Oggi i limoni costano tanto perché manca l’offerta straniera e perché i camion che vanno a prenderli in Sicilia, che di solito portavano al Sud beni industriali, hanno viaggiato vuoti all’andata quando l’industria era ferma», sostiene Bazzana. «Il vero tema è quale sarà in futuro la capacità di spesa delle famiglie», spiega Pallottini. E in caso di recessione profonda il problema, più che il costo della spesa, sarà il futuro del Paese.