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 2020  maggio 06 Mercoledì calendario

Periscopio

La cultura ci coccola l’anima, ci fa capire. Pierfrancesco Favino, attore (Arianna Finos). la Repubblica.
Per prima cosa Nuccia ispezionava la camera, lo sguardo diffidente della donna. Guido Morselli, Il comunista. Bompiani, 1976.

L’arrivo della felicità in chi è sempre stato quasi infelice provoca un euforico stordimento, come quando sei al secondo Martini e decidi di ordinarne un terzo. Tutto ti appare, d’improvviso, facile, possibile, giusto. Aldo Cazzullo, Fabrizio Roncone, Peccati immortali. Mondadori, 2019.

Il quadro generale di quest’epoca è la scomparsa della politica. Badate che non sto rimpiangendo il vuoto chiacchiericcio e teatrino della politica fino a ieri. Dico che in una fase come questa si esce solo se c’è un ceto politico all’altezza della situazione, in grado di raccordare gli strateghi dell’economia e gli strateghi della sanità, tra scienziati e medici. E invece non abbiamo nessuno o solo Giuseppe Conte, il che è la stessa cosa. Marcello Veneziani. Panorama.

La pandemia ci ha messo a nudo. Tutte le deficienze collettive stanno venendo fuori: adesso è chiaro ai più che siamo fragili, deboli e impreparati su tutti i fronti. La gente è colpita dai 120 medici morti. Se chi ha le armi per curare gli altri non riesce a curare se stesso significa che siamo nella tragedia. E poi c’è un’altra domanda ricorrente: come mai gli esperti non sono riusciti a dare l’allarme? Rino Formica, 93 anni, ex ministro delle finanze, socialista (Concetto Vecchio). la Repubblica.

Il presidente Macron aveva ironizzato sull’Italia. Ha avuto la tracotanza di far votare i francesi nonostante l’epidemia e ha dovuto far chiudere i bar e i ristoranti, una volta tanto les Italiens hanno dato una lezione di intelligenza politica alla Francia. Poi abbiamo il fenomeno Boris Johnson, che vogliamo dire? Patetico. Si rende conto che aveva lanciato l’idea dell’immunità del gregge? Tutti i vecchi muoiono, benissimo, facciamoli crepare. Peccato, si era dimenticato che la sua regina ad aprile ha compiuto 94 anni. Ha dovuto fare subito marcia indietro chiedendo scusa agli inglesi, il Regno Unito si è scassato, ma si sono interrotti i rapporti anche con Trump che gongolava ritenendosi immune dal contagio. Pippo Baudo, presentatore tv (Silvia Fumarola). la Repubblica.

Ho capito subito che il Covid sarebbe stata una cosa molto seria. Sono cresciuto con un nonno che mi raccontava dell’epidemia di spagnola del 1918, e con mio padre che mi parlava di quella del 1957; anzi, con lui ne parlo ancora spesso: ha 98 anni, vive di fronte casa mia, e ogni mattina, mascherina in faccia, ci salutiamo da lontano e ci parliamo. E poi uno dei miei idoli, Pericle, è stato portato via dalla peste. Tenendo tutti i loro esempi a mente, quando i nostri impiegati cinesi a fine gennaio hanno iniziato a parlare del Covid-19, e di come le cose stessero precipitando, onestamente mi sono spaventato, e ho capito che andavano presi subito provvedimenti adeguati, dallo smart working alla chiusura degli stabilimenti. Brunello Cucinelli, industriale della moda (Serena Tibaldi). la Repubblica.

Noi napoletani vogliamo riaprire per lavorare e non, come ha detto qualcuno, per suonare il mandolino. Maurizio De Giovanni, scrittore napoletano. (Candida Morvillo). Corsera.

Dopo la riapertura, la carta del mio ristorante verrà dimezzata: terrò 12 piatti al posto dei 24 attuali, punterò per una metà su quelli simbolici e per il resto farò un menù stagionale con ottime materie prime ma non costose. Eliminerò il caviale, per esempio. E se prima la mia era una cucina italiana con influenze da tutto il mondo, ora rimarrò sulla filiera nazionale perché voglio sostenere i nostri produttori. Viviana Varese, chef del ristorante «Viva», una stella Michelin dentro Eataly Smeraldo, a Milano (Alessandra Dal Monte). Corsera.

Verso il Pantheon, per i vicoli stretti, quasi in punta di piedi, non volendo svegliare la città che dorme. In giro, nessuno. Così che istintivamente alzi gli occhi, e indugi su immagini dolci e scolorite di Madonne. Su lapidi con antichi anatemi per chi insozza le strade, o memorie di visitatori illustri. Al Pantheon, su quello che fu l’albergo del Montone, l’orma di Lodovico Ariosto: «Indi col seno e con la falda piena / di speme, ma di pioggia molle e brutto / la notte andai sin al Montone a cena». Solo un soldato di guardia in piazza, un ragazzo. «Scusi, ma un caffè non lo si trova da nessuna parte?», domandi speranzosa. Il soldato sorride come di un segreto, e indica un vicolo. Via dei Pastini, c’è un distributore automatico e una piccola coda di assonnati romani, mascherina e cane al guinzaglio. Grata, ti metti in fila. È, oggi, l’unico caffè di Roma. Marina Corradi, scrittrice. Avvenire.

«Ho scommesso tutto sul rosso, sull’esistenza di Dio», mi confessò mio padre Eugenio, ormai prossimo alla fine. Anch’io ho puntato sullo stesso colore. Mio padre era un massone. Si convertì a quasi 30 anni. Paolo VI lo scelse come uno dei pochi uditori laici che nel Concilio Vaticano II misero a punto il cosiddetto Schema XIII, da cui uscì la Gaudium et Spes, la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Giovanni Minoli (Stefano Lorenzetto). Corsera.

L’utilizzo di una donna per farsi fare un figlio da portarle via è una storia vecchia come il cucco. La letteratura è piena di signorotti che ingravidano contadinelle e servette per avere un bebè che la moglie non gli può dare. Una su tre novelle di Luigi Pirandello, tra Girgenti e le Madonie, racconta gli espedienti usati per ingannare amici e vicini quando appare un bimbo nella famiglia sterile. Si improvvisa un viaggio all’estero e poi, dando a intendere che è stata l’aria d’oltremare, la coppia torna col pargolo. Frutto, in realtà, delle attenzioni del marito per una semianalfabeta della sua masseria, liquidata con quattro soldi e altrettante minacce dopo avergli sfornato un figlio che non vedrà più. Giancarlo Perna. LaVerità.

Ci siamo concentrati sul famoso miracolo italiano, molto meno su come quel miracolo è stato ottenuto. Nessuno oggi ricorda quanto siano stati duri quegli anni del dopoguerra. Faticosi e perfino umilianti per chi ne ha preso parte. Potevo limitarmi a scrivere un saggio di storia, ma ho scelto il romanzo. La mia urgenza era mettere in connessione la parte più intima di me, diciamo pure la mia storia privata, con la storia collettiva, con le emozioni che hanno segnato un certo periodo della nostra storia. E per tentare di farlo c’era solo la forma del romanzo. Gian Arturo Ferrari, editore (Antonio Gnoli). la Repubblica.

È più facile far rinascere un amore che un’amicizia. Roberto Gervaso. Il Giornale.