Il Sole 24 Ore, 5 maggio 2020
Aria condizionata, sicura ma non al 100 per cento
Rimodulazione degli spazi e dei comportamenti. Inizia così la fase due. Con grande attenzione al distanziamento, la disponibilità di superficie per ogni singolo lavoratore, l’igiene, le mascherine... Già, ma che dire dell’aria che si respira all’interno degli uffici, soprattutto se sono edifici di vetro in cui non si possono aprire le finestre per un sano ricambio d’aria? E con l’arrivo dell’estate il tema aria condizionata diventa cruciale, dal momento che ci sono ancora tante incognite sulla trasmissione del coronavirus. In più, in questi mesi ci sono stati dei “precedenti” che imputerebbero proprio ai condizionatori d’aria la responsabilità di aver diffuso il virus.
A fine gennaio, nella città di Guangzhou, in un ristorante di 5 piani ventilato con aria condizionata e senza finestre 10 clienti si siano infettati con Sars-CoV-2. Si tratta di tre famiglie che non si conoscevano sedute in tavoli diversi e secondo i ricercatori l’impianto di climatizzazione ha giocato un ruolo decisivo. E anche sulla ormai nota nave da crociera Diamond Princess, messa in quarantena in Giappone con centinaia di persone che si sono poi infettate, il virus potrebbe essersi diffuso attraverso il sistema di ventilazione. E ancora, si suppone che Covid-19 a Ischgl, la rinomata località sciistica austriaca, abbia infettato così tante persone perchè non c’era quasi più aria fresca nelle stanze.
Detto questo, sarebbe eccessivo concludere che tutti i sistemi di ventilazione sono pericolosi. «Ci sono differenze tecniche nei sistemi di condizionamento dell’aria e nella possibilità di filtraggio – premette Gaetano Settimo, coordinatore del Gruppo di studio nazionale inquinamento indoor dell’Istituto superiore di sanità – La distribuzione dell’aria è come quella dell’acqua, bisogna avere grande accortezza, mantenere il buon funzionamento, attuare una regolare manutenzione ordinaria e straordinaria, tenere un registro degli interventi che vengono effettuati».
Quindi, il rischio è frutto di una cattiva manutenzione dell’impianto, banalmente ci si dimentica di pulire spesso i filtri. «Nella fase emergenziale avevamo dato l’indicazione di eliminare l’eventuale ricircolo dell’aria perchè può concentrare gli agenti inquinanti, che non sono tra l’altro solo di natura biologica – continua Settimo – Questi sistemi hanno sempre un’aggiunta di aria fresca, ma il “grosso” è dato dal ricircolo che evita un eccessivo dispendio energetico. Quindi i nostri uffici sono sempre di più dei serbatoi dove, se non correttamente gestiti, diventa difficile smaltire quelli che possono essere i “carichi” dati dall’affluenza delle persone». Il fatto di aver puntato molto sull’efficientamento energetico comporta questo problema. «Il ricambio di aria naturale è la cosa migliore accanto a una gestione dell’impianto – spiega l’esperto -. Anche gli open space sono stati concepiti per ridurre i costi gestionali, ma se c’è una epidemia virale non sono certo luoghi ideali. Chi nella fase emergenziale ha fatto lo smart working, dovrebbe proseguire anche nella fase 2».
L’Iss ha redatto un aggiornamento su questo tema(indicazioni ad interim per la prevenzione e gestione degli ambienti indoor in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus Sars-CoV-2, del 21 aprile 2020) che segue l’evoluzione delle conoscenze su Covid-19. «Conosciamo bene le infezioni che “viaggiano” attraverso i sistemi di climatizzazione – dice Settimo – come per esempio la legionella, proprio per questo gli impianti sono stati molto migliorati così come pure le regole di manutenzione. Ma così come non si può dire che tutti i sistemi di ventilazione sono pericolosi allo stesso modo non si può dire che sono sicuri al 100 per cento». Infine, c’è un’altro accorgimento: i piccoli dispositivi ad aria per asciugarsi le mani vanno tenuti spenti, anche nella fase 2. La tecnologia viene sorpassata dalla carta (usa e getta, ovviamente).