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 2020  maggio 05 Martedì calendario

Il piano di Trump: far rientrare le aziende Usa dalla Cina

«Se volete il comunismo andate in Cina» urlava un’attivista in Colorado che protestava contro il lockdown. In Michigan i manifestanti sono entrati nella sala del Capitolo con le armi. Donald Trump li chiama «bravi cittadini». Ma mentre oltre 30 stati hanno deciso di allentare le misure restrittive, lo stesso presidente ha ammesso che i morti per il coronavirus potrebbero essere molti più del previsto. 
Partita da Washington, la campagna contro la Cina si è diffusa come il virus: la decisione di Trump di dirigere la rabbia popolare per il Covid-19 verso Pechino, è la nuova strategia della campagna elettorale del presidente, costretto a modificare in corsa il messaggio prima centrato sui successi dell’economia, svaniti di colpo con la pandemia. La lotta per la conquista per la Casa Bianca rischia così di trasformarsi in un referendum su chi è più forte contro la Cina, Trump o Joe Biden. Le prossime mosse dell’amministrazione potrebbero essere persino più drastiche dei 2 anni di guerra commerciale. 
Il capo della diplomazia Mike Pompeo su Abc, facendo eco alle parole del presidente, ha insistito sul fatto che ci sono «prove sostanziali» sulla provenienza del virus Covid-19 dal laboratorio di virologia di Wuhan, senza però, come Trump, spiegare quali siano tali prove. Pompeo non ha potuto smentire quanto dichiarato il 30 aprile in una nota ufficiale dall’Odni, l’ufficio federale che raggruppa le agenzie di intelligence Usa secondo cui «il virus Covid-19 non è stato creato dall’uomo». Si è detto d’accordo con questa ricostruzione, ma sostiene che il virus potrebbe essere sfuggito per errore dal laboratorio. 
L’altra sera Trump, seduto sotto la statua di Abramo Lincoln, nel Lincoln Memorial di Washington D.C. in una town hall virtuale trasmessa da Fox News, ha promesso la pubblicazione di un report definitivo sull’origine cinese del Covid-19. Secondo il rapporto, di cui la Cnn ha anticipato qualche stralcio, «la Cina avrebbe tagliato le esportazioni delle sue forniture mediche prima di notificare all’Oms la pericolosità del Covid-19». Il rapporto firmato dai “Five Eyes”, le agenzie di intelligence di Usa, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda, ricostruisce le omertà e i ritardi iniziali di Pechino. Peter Navarro, uno dei falchi dell’amministrazione, ha rivelato che presto Trump potrebbe emettere un ordine esecutivo per utilizzare medicinali e forniture medicali prodotti solo negli Usa. 
In queste settimane di crisi sanitaria, la Cina ha mostrato il suo ruolo fondamentale nella supply chain globale per la fornitura a tanti Paesi – Stati Uniti compresi – di medicinali, protezioni e attrezzature sanitarie. Pechino inoltre ha offerto aiuti a oltre 120 Paesi e organizzazioni internazionali, inviato squadre di medici all’estero. Non è bastato per limitare l’ostilità. 
Il Giappone, tradizionale target del nazionalismo cinese, ha annunciato la creazione di un fondo da 2,2 miliardi per aiutare le società giapponesi a spostare le produzioni fuori dalla Cina. Il capo consigliere economico della Casa Bianca Larry Kudlow ha fatto sapere che «gli Stati Uniti seguiranno la stessa strada e pagheranno i costi di trasferimento delle società americane dalla Cina. Le faremo tornare a casa». 
Trump vuol far perdere alla Cina il primato industriale e il ruolo primario nella supply chain globale. Le misure allo studio sono molteplici, come confermato da Keith Krach, sottosegretario al Dipartimento di Stato con la delega alla crescita economica. Si pensa a incentivi fiscali e a sussidi di re-shoring per far rientrare le aziende Usa che hanno delocalizzato oltreoceano. Il presidente, tra l’altro, ha minacciato di far saltare l’accordo sulla Fase Uno se Pechino non onorerà l’impegno di acquistare 200 miliardi di dollari di merci aggiuntive Made in Usa nei prossimi due anni. Si parla anche di sanzioni unilaterali, come quelle contro l’Iran, o di nuovi dazi commerciali. 
Le discussioni per rifondare la supply chain globale in chiave anti-cinese sono a uno stato avanzato. Gli Usa vogliono creare un’alleanza di “partner fidati”, già denominata “Economic Prosperity Network”, che comprenda aziende di paesi amici che operano sotto gli stessi standard in vari settori: digitale, energia, infrastrutture, difesa, ricerca, commercio. Il governo lavora a stretto contatto con Australia, India, Giappone, Corea del Sud e Vietnam.
L’America Latina potrebbe giocare un ruolo in questa nuova rete di approvvigionamento globale. L’ambasciatore colombiano, Francisco Santos ha confermato discussioni in corso con la Casa Bianca per incoraggiare le aziende Usa che lasciano la Cina a ri-delocalizzare in Sudamerica. 
Dal 2010 la Cina ha superato gli Stati Uniti nella classifica mondiale manifatturiera e produce da sola il 28% dell’output globale, secondo i dati Onu. Non sarà facile passare dai proclami all’economia reale.