Il Sole 24 Ore, 5 maggio 2020
Covid, rischio crollo delle nascite
Non ci sono solo i dati sulla mortalità ad accompagnare la pandemia in corso. Covid-19 potrebbe avere serie ripercussioni anche sul fronte della natalità nel caso estremo di un raddoppio del tasso di disoccupazione. Ieri Istat, nel primo rapporto prodotto con l’Istituto superiore di Sanità su 6.866 comuni (87% del totale), ha indicato in marzo un picco di 25.354 decessi (+49,4% per il complesso delle cause) rispetto alle medie di periodo 2015-2019, per il 54% costituito dai morti diagnosticati Covid-19 (13.710). Il 91% di questo “eccesso di mortalità” è concentrato nelle aree ad alta diffusione dell’epidemia: 3.271 comuni, 37 province del Nord più Pesaro e Urbino. Le province più colpite hanno registrato incrementi a tre cifre: anzitutto Bergamo (568%), Cremona (391%), Lodi (371%), Brescia (291%), Piacenza (264%).
Ma la crisi, con le incertezze e paure diffuse e le improvvise difficoltà economiche e materiali imposte a milioni di cittadini, potrebbe avere un impatto a breve termine anche sui progetti di fecondità. Istat ha presentato al Parlamento un’analisi sul Def in cui si tracciano nuovi scenari critici sul comportamento riproduttivo della popolazione italiana.
Le simulazioni, presentate anche in un paper pubblicato sul sito dell’Istituto dal presidente Gian Carlo Blangiardo, danno risultati significativi: dopo i 435mila nati del 2019 e i 428mila ipotizzati per il 2020 alle condizioni pre-Covid-19, si potrebbe ora scendere a circa 426mila nel bilancio finale dell’anno, e poi ancora a 396mila, nel caso più sfavorevole, nel 2021.
Il superamento al ribasso della soglia psicologica dei 400mila nati era atteso non prima del 2032 nell’ipotesi più pessimistica – senza per altro essere mai contemplato fino al limite delle previsioni (2065) nell’ipotesi etichettata come “mediana” – ma sembrerebbe invece ora possibile qualora si realizzasse un rapido raddoppio del tasso di disoccupazione, seguito da un ritorno ai valori precedenti marzo 2020 secondo un percorso di rientro spalmato nell’arco di circa un biennio. Un’ipotesi che se prima di questa crisi era da considerarsi davvero come estrema, oggi potrebbe rientrare invece tra gli esiti di cui ha senso tener conto.
Una eventuale accelerazione post Covid-19 del declino strutturale della natalità rappresenterebbe secondo Istat un’aggravante della cui entità è «certamente utile avere un ordine di grandezza, quanto meno per poterle assegnare un adeguato grado di priorità nelle azioni che dovranno portare, una volta fuori dall’emergenza, a un ritorno alla normalità».
Nelle simulazioni si fa riferimento a precedenti storici particolari, come lo è la pandemia in corso o come fu l’incidente di Cernobyl nel 1986. Il primo caso indicato è l’esperienza della Germania orientale: un Paese che a fine 1989 aveva quasi 17 milioni di abitanti e registrava circa 200mila nascite annue; un valore che, a distanza di un triennio, è sceso del 56% attestandosi a meno di 90mila unità. Il secondo riferimento è la Grecia durante la crisi 2008-2013, quando il Paese sperimentò un calo delle nascite del 20,4% (da 118mila a 94mila) e una riduzione del livello di fecondità del 14% (da 1,50 a 1,29 figli per donna). Nello stesso periodo, il tasso di disoccupazione greco aveva segnato un aumento di poco inferiore ai 20 punti percentuali (da 7,7% a 27,3%), evidenziando una stretta correlazione con la frequenza annua di nati. L’assorbimento di quel picco di disoccupazione dal 2014 in avanti è stato poi accompagnato da un rallentamento del calo della natalità.