Corriere della Sera, 5 maggio 2020
Un giorno in pretura e la spettacolarizzazione della giustizia
La prima puntata della nuova stagione di Un giorno in pretura ha visto come protagonista Gina Lollobrigida. L’attrice aveva denunciato un imprenditore catalano, Francisco Rigau, per averla sposata con l’inganno, in modo da poter ereditare tutti i suoi beni. La vicenda è complessa e anche piuttosto triste. C’è di mezzo un matrimonio finito in niente (secondo Rigau i due si sarebbero sposati, nel 2010 a Barcellona, in chiesa, per procura ma la diva ha sempre negato, fino alla denuncia del 2013 e all’inizio dei processi). C’è di mezzo un personaggio, Andrea Piazzolla, un giovane romano che amministra la società della Lollo Vissi D’Arte. Piazzolla è noto alle cronache per aver stipulato contratti di acquisto o leasing di auto e moto di lusso, tra cui Ferrari, Mercedes e Ducati, per un valore complessivo che supera il milione. C’è di mezzo il figlio Andrea Milko Škofic, i cui i rapporti con la madre si sono guastati.
Ma c’è soprattutto di mezzo un programma che dopo tanti anni non si è ancora capito se sia una fondamentale lezione di educazione civica (come voleva Angelo Guglielmi) o come una sostanziale gogna mediatica per gli imputati, anche se consenzienti. Un giorno in pretura non è il resoconto fedele di un processo, ma la sua spettacolarizzazione (si parlava di una nuova «narrativa neorealistica»). Ciò significa che la curatrice Roberta Petrelluzzi (una fedelissima di Guglielmi) decide cosa mandare in onda: ovviamente quelle parti ritenute più efficaci per il programma, quelle che possono garantire una sostanziale teatralità.
Sappiamo poi quanto la presenza delle telecamere stimoli la vanità dei presenti, soprattutto dei pm e degli avvocati. Sicuri che questa sia giustizia «pubblica»? Un giorno in pretura non è un prolungamento tecnologico del concetto di «pubblicizzazione» insito nel processo, ma una sua elaborazione. Non è la Giustizia in azione, è la tv che interpreta la Giustizia.