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 2020  maggio 04 Lunedì calendario

Quando è il venditore a pagare chi compra

Il 20 aprile, il prezzo del petrolio era negativo. Un evento straordinario, risultato del crollo della domanda globale, causa Covid, dello scontro tra sauditi, russi e americani sui livelli di produzione, e del meccanismo dei contratti futures sul greggio americano Wti (West Texas Intermediate). Straordinario, ma non inusitato: che sia il venditore a dover pagare il compratore, per quanto sembri un’assurdità, è più frequente di quanto si pensi. La crisi attuale ha solo reso particolarmente evidenti alcuni casi che, spesso, sono sintomo di un’allocazione inefficiente delle risorse.
Nel caso del Wti, il contratto ne prevede la consegna fisica ai depositi di Cushing in Oklahoma i quali, a causa del crollo della domanda globale, erano pieni. Il petrolio non può essere buttato via, perché inquina, così i venditori sono stati costretti a pagare i compratori che avessero la capacità di immagazzinarlo, pur di liberarsene. I prezzi possono diventare negativi perché la produzione non può aggiustarsi rapidamente ai cambiamenti della domanda; la domanda non risponde rapidamente al crollo del prezzo; ci sono limiti allo stoccaggio; e vincoli normativi, regolamentari o contrattuali.
La stessa dinamica ha portato recentemente a prezzi negativi dell’elettricità in Francia e Germania. L’elettricità non può essere immagazzinata. E le politiche di incentivazioni spingono la produzione di energie rinnovabili, che hanno priorità nell’accesso alla rete. Ma le rinnovabili, con costi operativi minimi, dipendono da sole e vento, che non sono modulabili al variare della domanda: così, con la caduta generalizzata dei consumi elettrici, il prezzo è stato negativo in alcuni giorni. Se poi l’incentivo al produttore supera il prezzo negativo, è l’utente che ne paga il costo.
Può succedere con il latte: le mucche vanno munte ogni giorno; non possono essere spente o licenziate. Per il produttore la conservazione è costosa: il latte lo può regalare, riciclare come fertilizzante o smaltire, ma i costi di produzione rimangono e costituiscono un prezzo negativo, benché implicito.
Un prezzo può essere negativo se il produttore paga il compratore in cambio di un servizio: nel car-sharing si riceve un bonus se si lascia l’auto nella zona dove c’è più domanda o se si fa il pieno quando l’auto è a secco. Hanno un prezzo negativo (implicito) gli abiti regalati agli influencer, affinché li indossino.
Altro caso è quello di attività che, per un cambiamento normativo o tecnologico, diventano passività. Come con la normativa ambientale che impone bonifiche, rinnovamento degli impianti e riduzione delle emissioni i cui costi possono trasformare un’attività con un valore di mercato in una passività; e il proprietario, per cederla, deve pagare una dote al compratore. È il caso dell’Ilva, degli impianti che usano il carbone o delle centrali elettriche nucleari. Un costo enorme della green economy, che alla fine va a gravare sull’utente.
I tassi negativi sono il prezzo negativo del tempo. L’eccesso di risparmio rispetto alla domanda causato dalla crisi, ha fatto sì che le banche siano disposte a pagare la Bce pur di immagazzinare la liquidità in eccesso senza rischi. Lo stesso dicasi per fondi pensione e assicurazioni che devono pagare un prezzo negativo ai governi di Germania e Francia (il tasso sui loro titoli di Stato a lungo termine) se vogliono avere la garanzia di non perdere i loro soldi fra 10 o 20 anni. A sua volta la Bce, sempre per via dell’eccesso di risparmio a causa della crisi, paga le banche affinché si indebitino con lei. Incidentalmente,le banche lucrano la differenza fra tassi attivi e passivi, anche se negativi, poiché la moneta è fungibile. Sembra un meccanismo perverso; e lo è. I tassi negativi non si possono evitare accumulando banconote. Anche qui il prezzo è negativo: costano i caveau per immagazzinarle, e dobbiamo pagare un signoraggio alle banche centrali per stamparle e distribuirle.