la Repubblica, 4 maggio 2020
Ogni regola democratica ha un’eccezione
Nella polemica in corso fra i partiti, e fra gli intellettuali, vengono contrapposte libertà e coercizione, economia e sicurezza, norma (normalità costituzionale) ed eccezione. Ma se le si pensa compenetrate l’una nell’altra, si può cogliere un frutto più succoso: il nesso fra ordine e disordine che è l’essenza della sovranità. Il caso d’eccezione è un concetto estremo, grazie al quale si comprende che la sovranità lavora attraverso la coppia eccezione-decisione; ciò significa che nella sua finalità di stabilizzazione e di protezione la sovranità interpreta la società come una materia omogenea e indifferenziata, plastica, priva di norme intrinseche e quindi sempre “eccezionale”; una materia che può essere ordinata e disordinata, attraverso la decisione, in molteplici classificazioni, in infinite configurazioni. La norma implica l’anomia; eccezione e decisione prevalgono sulla costituzione.
Da parte loro, i liberali sostengono che la politica si fonda sulle persone, i corpi intermedi, i valori umanistici, le procedure razionali e trasparenti: elementi solidi, non disponibili alla decisione sovrana. Il liberalismo pensa come primum non il potere ma i limiti del potere; la norma e i diritti, non l’eccezione e la decisione. E anche se nelle costituzioni liberali e democratiche vi sono istituti che consentono al potere politico di derogare alcuni assetti normativi in caso di necessità – lo stato di calamità, lo stato d’emergenza, lo stato d’assedio, lo stato di guerra –, la competenza sul caso d’eccezione resta interna alla costituzione. L’ordine vince sul disordine.
Eppure il caso d’eccezione continua a operare sotterraneamente, silente ma non spento. Politici liberali limitano alcuni diritti costituzionali non con una nichilistica e spettacolare decisione sovrana ma con ordinanze commissariali, con decreti e con dpcm (decreti del presidente del Consiglio), col richiamo a una legge ordinaria (il Codice della protezione civile) e a una interpretazione gerarchica dei diritti costituzionali. L’eccezione è contenuta nella catena delle norme, pur se con qualche forzatura: nel gestire l’emergenza il potere politico smonta gli ordini esistenti, normali, e ne crea di nuovi. La società è di nuovo plastica – per ora, non infinitamente.
Lo vediamo nelle normative rivolte a classificare, etichettare, creare casi e sotto casi, categorie e peculiarità; a imporre sempre nuovi perimetri spaziali, a prevedere controlli elettronici, internamenti, confinamenti, esclusioni, discriminazioni, concessioni di salvacondotti per età, per professione, per territorio; a consentire deroghe per infinite motivazioni, tanto fantasiose quanto incerte. La più minuziosa casistica, il massimo di ordine artificiale, si rovescia in un turbinio di disordine reale, si sfrangia e si rimescola in infinite fattispecie. Sicurezza ed eccezione coesistono. La fissazione spaziale è una mobilitazione incessante.
Tutto ciò è nel Dna della sovranità, anche liberale e democratica; che oggi salva la costituzione attraverso l’anomia, sospendendone di fatto alcune parti, ordinando e disordinando la società; e usa il valore assoluto della vita individuale – sostituto della tradizionale salus populi – per legittimarsi. Gli anti-sovranisti al governo, e i sovranisti all’opposizione, non si accorgono, o non lo vogliono ammettere, che sono state attivate le logiche sovrane.
Nonostante i politici abbiano usato innumerevoli task force tecniche per coprire le proprie grandissime incertezze, non siamo quindi davanti a una dittatura tecnocratica, ma a uno sviluppo della sovranità politica nelle sue logiche di fondo. Per quanto acceleri una tendenza del potere alla verticalizzazione, peraltro non nuova, la gestione eccezionale dell’emergenza non costituisce nulla di radicalmente straordinario. La vera questione sono i suoi limiti, cronologici e qualitativi: il rischio è infatti che si intenda fare dell’eccezione la nuova normalità, dilatarla nel tempo, assuefare i cittadini, in nome della sicurezza, a vivere una libertà sempre più vigilata, e la società a essere sempre più sospesa sull’anomia.
Al momento è il principio di prestazione – l’economia, le esigenze della produzione (non certo i diritti) – a resistere al potere sovrano; ma quando un nuovo equilibrio fra prestazione ed eccezione si troverà, potremmo aspettarci una continuità al ribasso, in cui al capitalismo di controllo (quello dei big data, ma anche quello del telelavoro che di fatto toglie di mezzo i sindacati) si affiancherà lo Stato di sicurezza, in un ordine sempre più disordinato e precario.
Del resto, c’è chi ritiene indispensabile eliminare un po’ di democrazia per competere con l’autoritarismo cinese. Questo si tratta quindi di capire, al di là delle polemiche del momento: se nel nostro presente normalmente eccezionale stiamo vedendo il nostro futuro, oppure se è il caso di pensare ad una alternativa. E quale.