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 2020  maggio 03 Domenica calendario

Intervista a Uto Ughi

Ma li ha visti, li ha sentiti? Che dignità, che atto d’amore verso la musica! E il loro concerto è stato preceduto dal saluto del Presidente della Repubblica tedesca rivolto a tutti i lavoratori europei, compresi i lavoratori della musica e dello spettacolo. Da noi invece niente, sono rabbioso».
Venerdì 1 maggio Uto Ughi ha assistito, dalla sua casa di Roma, al Concerto per l’Europa dei Berliner Philharmoniker trasmesso in diretta dalla televisione e dalla radio tedesche, dalla piattaforma digitale dell’orchestra e in collegamento con altri 80 canali televisivi ovunque nel mondo. I Berliner, diretti dal loro direttore principale Kirill Petrenko, hanno suonato dal vivo, dalla loro splendida sala, in formazione ridotta per rispettare tra i musicisti la distanza di un metro. Appena terminato di ascoltarli, Ughi ha sentito il bisogno di esprimere la sua ammirazione e di sfogarsi.
«I Berliner hanno dedicato il concerto al sostegno della campagna dell’Unicef in difesa dei bambini rifugiati e hanno iniziato suonando Fratres di Arvo Pärt, un inno alla fratellanza universale. Come italiano, cittadino di un paese che nel mondo è conosciuto per la sua arte e la sua musica, mi sono vergognato che da noi non ci sia stata alcuna iniziativa simile. Che la società civile non l’abbia richiesta».
Una trascuratezza oppure un vuoto, una distanza ormai incolmabili?
«Il problema dell’intrattenimento culturale è il grande assente dalla strategia politica italiana. Del resto, nessun consulente qualificato, esperto dei problemi del settore è stato interpellato o chiamato a far parte delle numerose task-force formate dal governo, dai ministeri, dalle Regioni. La maggioranza dei sovrintendenti dei teatri non sono artisti, né sensibili alla musica. Sono dei burocrati, dei manager legati alla politica e terrorizzati dalle sue reazioni. Si raccoglie quello che si semina: noi siamo il paese che ha invitato a suonare al Senato della Repubblica Giovanni Allevi. Ormai in Italia non esiste più un’opinione pubblica a favore della musica: tutto è iniziato con lo smantellamento di tre Orchestre Rai, venti anni fa, che abbiamo subito senza reagire in maniera adeguata».
Lei, assieme ad altri importanti musicisti, ha firmato una petizione per la ripresa, dei concerti dal vivo, garantendo la sicurezza di tutti. Lo ritiene possibile?
«I concerti in streaming sono i figli della disperazione che stiamo vivendo. Necessari, ma appunto disperati. Per fare la musica davvero bisogna pensare di costruire un ponte, tutti assieme, artisti, organizzatori e pubblico. In streaming non c’è alcuna comunione, condivisione. Non amo suonare all’aperto, ma lo farò quest’estate all’Anfiteatro dell’Anima di Cervere. E all’inizio dell’autunno suonerò, sempre in provincia di Cuneo, per il festival La Santità Sconosciuta. Le persone ormai si sono abituate alle distanze, ad attendere il proprio turno. Non si può aspettare troppo, il pubblico deve tornare prima che sia troppo tardi».
Come trascorre le sue giornate in quarantena?
«Sono solo, vado all’edicola e torno. Una colf mi aiuta per il pranzo, per il resto devo badare a me stesso. Studio e suono il violino ogni giorno. Mi alzo presto, alle 7 guardo su Rai Uno la messa celebrata a S. Marta da Papa Francesco. C’è un’atmosfera molto raccolta, spirituale. Mi dispiace solo che il Pontefice non ami la nostra musica. Poi leggo delle dichiarazioni di vescovi che dicono cose diverse rispetto al Papa. In questo periodo anche la Chiesa traballa».
In questo 2020, in occasione dei 250 anni dalla nascita di Beethoven, è stata ripubblicata la sua registrazione integrale delle Sonate per violino e pianoforte. Un’incisione , realizzata nel 1978 assieme al pianista americano Lamar Crowson. 
«Lamar, un magnifico pianista, scomparso troppo presto. E’ un’incisione alla quale sono molto legato. Abbiamo un enorme bisogno di Beethoven in questo periodo di smarrimento e di incertezza».