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 2020  maggio 03 Domenica calendario

In Gran Bretagna torna la corsa all’oro

«L’oro c’è. Potresti essere fortunato e trovare una grande pepita». Non è un manifesto ingiallito dei tempi della febbre dell’oro, quando migliaia di persone, i disperati e i sognatori, sfidarono la sorte andando alla ricerca di fortuna nel Far West americano. No, è un più prosaico messaggio sul sito web di Vincent Thurkettle, un signore gallese di 64 anni che setaccia i fiumi in cerca di oro e offre corsi per cercatori amatoriali. Per lui, e a quanto pare per un numero crescente di persone, il mito della «Gold Rush», la corsa all’oro, è più vivo che mai, non alla frontiera americana ma tra le campagne britanniche. «Quando ho cominciato, era un hobby, come andare a caccia senza dover uccidere. Adesso l’interesse è cambiato», ha raccontato Thurkettle al «Times». «L’improvviso rialzo del prezzo dell’oro ha attratto molte persone che pensano sia un modo veloce di diventare ricchi». 
L’oro è stato a lungo considerato un «bene rifugio», un luogo sicuro in cui investire il proprio denaro durante periodi turbolenti, il che spiega perché il prezzo del metallo prezioso sia aumentato vertiginosamente negli ultimi anni. All’inizio del nuovo millennio erano circa $250 l’oncia. Oggi sono circa $ 1.700 - non molto al di sotto dei livello record, in parte a causa dell’ansia causata dalla pandemia del coronavirus. E il prezzo potrebbe continuare a salire. «L’oro è il termometro della finanza, del mondo economico. Solitamente se l’oro sale vuol dire che c’è qualcosa che non sta andando tanto bene», spiega Carlo Alberto De Casa, analista di ActivTrades di base a Londra e autore del libro «I segreti per investire con l’oro». 
In periodi d’incertezza come quello attuale, lo scintillio dell’oro sembra attrarre molti, dai finanzieri alle aziende minerarie ai dilettanti, questi ultimi nelle zone rurali della Scozia e del Galles del nord, dove si trova quasi tutto l’oro britannico.
Si stanno muovendo le compagnie minerarie, che hanno ottenuto licenze a scopo esplorativo in alcune di queste zone. E secondo il «Times», negli ultimi tre anni l’associazione di cercatori amatoriale più grande del Regno Unito, la «Original Gold Panning UK», è passata da quaranta membri a più di 2.000, e le domande sono in aumento. «Ormai mi arriva almeno una lettera al mese da parte di qualcuno che mi dice di avere un mutuo da pagare e mi chiede dove poter trovare l’oro», racconta Thurkettle, che anni fa ha trovato una pepita del valore di cinquanta mila sterline, una delle più grandi mai rinvenute nel Paese, ad Anglesey, nel Galles.
Ma per chi è in cerca di fortuna c’è un problema: tutto l’oro trovato nel Paese appartiene, almeno nominalmente, alla corona britannica. In teoria chi trova l’oro viola la legge e può essere perseguito legalmente, in pratica si chiude un occhio davanti a piccoli gruppi amatoriali. Ma se il fenomeno dovesse assumere dimensioni significative, le cose potrebbero cambiare. Senza dimenticare l’impatto ambientale. «Alcuni chiedono che la ricerca dell’oro si fermi del tutto a causa dei rischi di danni all’ambiente. Ma è chiaro che la ricerca continuerà, e siamo in contatto con il Crown Estate», dice James Linnett, presidente dell’associazione dei cercatori d’oro.
La «Gold Rush» in California
Se gli incubi del nuovo decennio alimentano il sogno della «Gold Rush», il panorama culturale non potrebbe essere più diverso. La famosa febbre dell’oro della California ebbe luogo a metà del 1800: Fu James W. Marshall, un dipendente di una segheria, a trovare la prima pepita d’oro nella cittadina di Coloma. Da quel momento, centinaia di migliaia di persone si precipitarono verso la California: setacciavano i corsi d’acqua, raccogliendo la ghiaia dal letto dei fiumi e scuotendola sul setaccio nella speranza di vedere luccicare qualcosa; o usavano picconi sui lati delle pareti rocciose. Qualcuno fece fortuna, la maggior parte restò delusa, qualcuno finì peggio di come aveva cominciato. Ma intanto il mito della corsa all’oro si è radicato nella memoria collettiva del Paese, e ancora oggi permea il folklore della West Coast americana e della California, non a caso conosciuta come il Golden State. La squadra di «american football» di San Francisco, i 49er, prendono il nome dagli uomini che si precipitarono a cercare l’oro al culmine della corsa nel 1849. Cinquant’anni dopo, tra il 1896 al 1899, la corsa all’oro verso il fiume Klondike ha alimentato un’altra migrazione di massa: qualcosa come centomila cercatori d’oro si diressero nello Yukon, nel gelido Nord-Ovest del Canada. È stata questa «Gold Rush» a ispirare il famoso film di Charlie Chaplin «La Febbre dell’Oro». Il mito dell’avventuriero avido e affamato che rischiava tutto per trovare fortuna è entrato a far parte della cultura americana: basti pensare al classico noir con Humphrey Bogart, «Il Tesoro della Sierra Madre», in cui l’avidità trascina una banda di cercatori d’oro verso un triste destino.
Le «scorte»
In Gran Bretagna, la storia dell’estrazione della ricchezza è di ben altra natura, anche se la Scozia ha già vissuto una sua «Gold Rush» nel Diciannovesimo Secolo. Gli antichi romani trovarono oro nel Galles – tutt’ora l’oro gallese è considerato tra i più pregiati, e viene usato per le fedi nuziali della famiglia reale, comprese quelle per il matrimonio di Harry e Meghan. E gli archeologi hanno scoperto gioielli d’oro del periodo celtico. Ma, data la densità della popolazione e le piccole dimensioni della zona, gran parte delle ricchezze sono probabilmente già state scoperte. E la storia mineraria più recente del Galles è semmai legata al carbone, che ha contribuito ad alimentare la rivoluzione industriale britannica. Ma anche ai tempi della rivoluzione industriale, l’oro non ha perso di mantenere la sua fascinazione, e con essa un senso di pericolo. Charles Dickens lo ha descritto come una nebbia intorno all’uomo «che culla i suoi sentimenti più di tutti i fumi del carbone».
In cerca di stabilità
Ai tempi del coronavirus, considerazioni più prosaiche prendono si fanno avanti. «In uno scenario in cui tutti i principali asset nonché gli indici hanno perso chi il 20%, chi il 30%, l’oro ha tenuto molto bene, anzi è stato oggetto di acquisti», ha spiegato l’analista De Casa. «Inoltre le banche centrali stano stampando molta carta moneta, quindi c’è più liquidità, ci sono più dollari, più euro, più yen, ma l’oro sempre quello è. In tutta la storia dell’umanità sono stai estratti poco meno di duecento mila tonnellate. Ogni anno ne tiriamo su tremila, tremila cinquecento. Che sono meno del 2% del totale fin qui estratto». Infine, aggiunge De Casa, bisognerà vedere quanto le misure di lockdown e quarantena imposte nei Paesi produttori di oro come Perù, Argentina e Canada finiranno per incidere sulla produzione complessiva. «Non credo sia tantissimo – dice - parliamo di pochi punti percentuale, ma la quantità di oro estratta non è infinita».
Ma forse questa piccola corsa all’oro amatoriale deve qualcosa al vecchio sogno di trovare meraviglie sotto il suolo delle isole britanniche. Non farà arricchire molti, ma forse mantiene vivo un senso di speranza e avventura in tempi di quarantene e isolamento. Dice Thurkettle: «È più probabile spendere di più per la benzina di quanto si possa fare in oro in un giorno. Dico alle persone che mi scrivono: ci sono cento ragioni per andare alla ricerca dell’oro ma il denaro non è una di queste».