Il Sole 24 Ore, 3 maggio 2020
Quando in Arabia il dottore è femmina
«Voglio un dottore maschio! Non guardarmi negli occhi!», impreca un anziano signore in caftano quando vede chinarsi sulla barella, dove è disteso, una donna con il Niqab, il velo che lascia scoperto solo lo sguardo. È uno dei punti chiave de La candidata ideale di Haifaa al-Mansour, prima regista donna dell’Arabia Saudita.
Si tratta di un film, «ma c’è molto di reale e di autobiografico», precisa al-Mansour, spiegando che la figura della dottoressa protagonista, Maryam (Mila Al Zahrani), è ispirata a una delle sue undici sorelle, ovvero un medico giovane e avvenente, con un curriculum brillante, relegata al trattamento di casi “minori” dai colleghi maschi, spesso a lei inferiori dal punto di vista clinico. Una realtà che forse sarà costretta a cambiare a causa dell’emergenza sanitaria del Covid-19, in cui ogni Paese necessita di personale adeguato e in forze.
La pellicola racconta le peripezie della protagonista per esercitare la professione, i cavilli del patriarcalismo e del maschilismo, gli ostacoli alla sacrosanta battaglia, rigettata solo perché proposta da lei, una donna, in nome dell’igiene per cementare lo spiazzo davanti all’ingresso del pronto soccorso dove lavora.
Spinta dall’ostruzionismo, Maryam un po’ provocatoriamente, un po’ per idealismo decide di candidarsi alle elezioni locali. In Arabia Saudita esistono sì le quote rosa, ma spesso sono una questione di facciata. Quando gli avversari capiscono che Maryam fa sul serio, la vita della dottoressa va incontro all’inferno: «Le pari opportunità nel mio Paese esistono, ma rimangono sulla carta. Per esempio, oggi le donne possono guidare, ma quante lo fanno? È?interessante capire perché le donne non usano le libertà che hanno a disposizione: per lo più sono intimidite, hanno paura di fallire e temono il giudizio degli altri. È?molto importante incoraggiarle e aiutarle a mettersi in gioco».
Quarantacinque anni, al-Mansour è figlia del poeta Abdul Rahman Mansour, che le ha permesso di laurearsi in Lettere all’Università Americana del Cairo e poi di studiare regia in Australia. Anche ne La perfetta candidata la protagonista viene da una famiglia d’artisti: il padre è musicista, la madre era una cantante che, per la sua libertà artistica, è stata demonizzata dalla comunità. «Mia madre aveva una voce meravigliosa, se fosse nata in Italia sarebbe stata una grande cantante, e invece qui poteva esprimersi solo tra gli amici».
Lo stato delle pari opportunità in Arabia Saudita è però molto cambiato rispetto a dieci anni fa. «Rimane comunque una società molto conservatrice e tradizionale, cosa che si riflette nei troppi matrimoni combinati. Ma oggi le donne se vogliono viaggiare possono farlo, possono aprire una propria società. Prima era impossibile. Hanno l’occasione di diventare indipendenti, una possibilità che a volte è scoraggiata dall’idea di poter avere una vita comoda, con l’autista, il maggiordomo, la cameriera, come accade quando la posizione della famiglia del marito lo consente». Molte resistenze permangono proprio in seno alla famiglia: «Recentemente una ragazza ha comprato un’auto e il fratello gliel’ha bruciata». Ma non c’è solo la parte maschile a opporsi. La stessa regista è stata insultata e minacciata da donne. Nel film sono le sorelle le prime a schierarsi contro la candidatura di Maryam, timorose di tornare a vivere il rifiuto e l’isolamento cui la libertà della madre aveva condannato la famiglia: «Il mio film è critico anche verso le donne e incoraggiante nei confronti degli uomini. Il padre incarna la figura dell’uomo ideale: sensibile, libero, equanime. Vorrei che fosse un esempio per le madri nell’educare i figli maschi. La rivoluzione avviene se si va tutti nella stessa direzione. E le dinamiche si possono cambiare anche attraverso film e canzoni».
E infatti il percorso di Haifaa al-Mansour si è svolto su questa china:
con il documentario Women Without Shadows (2005), sulle vite nascoste delle donne in Medio Oriente, e con il film La bicicletta verde(2012), storia di una bambina che partecipa a una gara di conoscenza del Corano per comprare una bicicletta. La pellicola ha ottenuto una candidatura ai Premi Bafta 2014 come miglior film straniero. Diverse saudite hanno preso coraggio dall’esempio di Haifaa al-Mansour per mettersi dietro la macchina da presa: «Dobbiamo imporci al botteghino, solo così possiamo diventare voci ascoltate nel mondo dell’industria cinematografica. Allora non saremo più spinte indietro».
La perfetta candidata è stato in gara allo scorso festival di Venezia e lo vedremo in Italia grazie ad Academy two. Non si è aggiudicato nessun riconoscimento alla manifestazione, ma ha vinto il premio Brian dell’Uaar, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. Anche se la lotta per il laicismo non è l’obiettivo della pellicola, lo humor che sottende la storia è effettivamente diretto anche contro certe rigidità religiose: «La discriminazione non è certo un argomento comico, ma scrivendo la sceneggiatura con mio marito (un diplomatico americano ndr) abbiamo pensato che l’ironia è in grado di aprire più porte».
La strada sembra lunga e non solo per i Paesi arabi. «Abbiamo iniziato il processo, che andrà per accumulazione, per passi. L’educazione è la strada maestra. Ho molto rispetto per le donne che hanno combattuto, che combattono e ancora dovranno farlo contro la disuguaglianza. Siamo poche in politica, anche in Occidente. Ma grazie alla globalizzazione stiamo accorciando le distanze fra le culture. Le influenze non vengono solo dall’interno ma anche dai social. Un modello politico per me è Angela Merkel, che, tra l’altro, è anche una fisica e una chimica».