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 2020  maggio 03 Domenica calendario

Biografia di Andrea Scrosati

Si può solo immaginare il peso che deve essere caduto addosso ad Andrea Scrosati, che è stato Evp programming di Sky dal 2010 al 2018 (e dal 2007 al 2010 Evp Corporate communication), quando Jim Gianopulos – uno dei numeri uno del cinema mondiale allora a capo della 20th Century Fox (parte di quella 21st Century Fox che controllava Sky) – bollò come fallimentare la sua idea di Vision Distribution: società di distribuzione cinematografica nata dall’unione tra una piattaforma pay (Sky Italia, 60% del capitale) e 5 società di produzione indipendenti. «Confesso che quella valutazione mi fece vacillare. Jeremy Darroch e Andrea Zappia però mi confermarono il loro appoggio e io ero convinto che anche in quel settore fosse arrivato il tempo di un modello radicalmente diverso. Siamo andati avanti e dopo soli due anni dalla sua nascita Vision Distribution è diventata il secondo distributore di cinema italiano».
Andrea Scrosati, 48 anni, da due anni non lavora più in Sky. Risponde da una casa in campagna, nel nord del Lazio. In tempi normali, si troverebbe a Londra o in giro per il mondo nel suo ruolo di Chief operating officer di Fremantle, uno dei principali gruppi internazionali di produzione di contenuti (scripted unscripted). Fremantle è posseduta al 100% dal Gruppo Rtl che a sua volta è controllato dalla tedesca Bertelsmann, ha quartier generale globale a Londra, 1.876 dipendenti fissi e un fatturato da 1,8 miliardi di euro al 2019. X FactorGot TalentAmerican Idol, ma anche soap daily dramas come Un Posto al Sole o Neighbours sono fra le produzioni di questo gigante. È targato Fremantle anche Too Hot To Handle: uno dei primi competition reality commissionati da Netflix ed esempio abbastanza rilevante di come anche queste piattaforme stiano oggi entrando nel segmento degli show unscripted, aggiungendo questo asse alle serie e ai documentari. 
Prima dello stop determinato dal Covid-19 Fremantle stava producendo oltre 50 serie nel mondo per clienti fra cui Hbo, Netflix, Amazon, Bbc. «L’emergenza coronavirus ha avuto un impatto logistico e tecnico per il nostro lavoro. Ma essere una realtà davvero globale è stato fondamentale. Ci sono Paesi in cui la produzione è già ripartita e altri dove non si è mai fermata, anche se ovviamente con tutte le necessarie cautele a tutela della salute». Per Scrosati ciò che va evidenziato «è la straordinaria capacità di adattamento e innovazione della creatività umana. Ci pensiamo troppo poco spesso». 
E così, ad esempio, American Idol che negli Usa vive del suo essere un’arena con grandi folle, sta portando avanti la fase di casting da remoto con i giudici collegati da casa. In Spagna stanno realizzando un programma sul fenomeno dei “balconi” e in Italia Epcc , altro programma prodotto da Fremantle, su Sky Uno sta facendo ascolti di tutto rispetto pur se con la formula da “distanziamento sociale” e con collegamenti da remoto. 
Ma tutto questo potrebbe portare a una disaffezione da parte del pubblico per l’intrattenimento? In fondo avere ospiti sparsi qua e là non dà lo stesso risultato, in termini anche di qualità video, dei programmi lavorati in studio. «Non penso. È chiaro – replica Scrosati – che si tratta di una situazione nuova, in evoluzione. Ma la domanda di intrattenimento continuerà a crescere». Certo, è sotto gli occhi di tutti che «in questa fase a spingere gli ascolti sono stati informazione e approfondimento. Ma il rischio di ripetizione è elevato, con molte delle domande che ci poniamo sul coronavirus ancora senza risposta. E dunque accanto a una stanchezza per l’ennesimo talk c’è una legittima aspirazione per un po’ di evasione e intrattenimento».
Quindi serie tv e informazione continueranno a beneficiare dell’onda lunga generata dall’emergenza Covid-19, «ma si sente anche il desiderio di contenuti che si possono condividere con gli amici, magari online. Sarà un intrattenimento diverso da quello cui eravamo abituati, ma resterà centrale». Purtroppo nel settore delle produzioni non tutto sarà come prima: «Le società meno strutturate potrebbero non farcela». Ma risalire la china è possibile e succederà.
Vale la pena aggrapparsi a una speranza così, anche perché arriva da uno che il settore lo conosce. Nel 2018, 2019 e 2020 è stato nominato dalla rivista americana «Variety» come uno dei «500 individui più influenti al mondo» nell’intrattenimento globale. Un settore, questo, in cui Scrosati è entrato in maniera tanto casuale quanto rocambolesca. Appena ventenne, dal ’92 al ’94, è stato capo ufficio stampa de La Rete: movimento politico fondato, fra gli altri, da Leoluca Orlando, Nando dalla Chiesa, Claudio Fava. Erano gli anni di Tangentopoli, con l’Italia in pieno passaggio evolutivo dalla Prima Repubblica. Nel 1993 Scrosati guidò la comunicazione della campagna per l’elezione a sindaco di Palermo di Leoluca Orlando. 
«In quel periodo tra i candidati al Senato della Rete c’era anche Gianni Minà». Non fu eletto, ma nel ’94, in occasione dei Mondiali di calcio in Usa, Minà volle Scrosati con sé a New York per un programma della Rai. «Fu proprio Minà a intervistare Maradona dopo la squalifica, avendo la meglio sulle tv di tutto il mondo». 
Al ritorno dagli Usa, la più classica delle sliding doors. «Mi offrirono di diventare funzionario della Camera dei Deputati. C’era una regolarizzazione dei collaboratori in Parlamento». Un posto di tutto rispetto per un 22enne. «Ho ringraziato e detto di no. Devo dire – confessa ridendo – che allora i miei non furono molto contenti. Ma senza dubbio fu una delle mie scelte migliori». 
Senz’altro qui è un tema di attitudine. Il che, però, non corrisponde alla voglia di cambiare a tutti i costi. «Mi hanno sempre lasciato perplesso i manager che cambiano azienda ogni anno e mezzo o due anni. Ritengo che le scelte migliori siano quelle con un orizzonte medio lungo. Queste decisioni possono comportare anche risultati penalizzanti nel breve periodo, ma solo una visione strategica porta a una vera crescita e al rafforzamento dell’azienda. Altrimenti si è nel campo della tattica». E quella «fa il bene solo dei manager». 
A conferma, Scrosati cita i suoi 12 anni in Sky e i 10 anni in MN, agenzia di comunicazione leader nel settore dei media che ha seguito e segue programmi e personaggi della tv, del cinema, della musica, nata dall’iniziativa di Scrosati e di un altro socio: Umberto Maria Chiaramonte. MN ha lavorato anche per leader internazionali del calibro del Dalai Lama e per aziende, fra cui Sky. 
Da qui il passaggio nella pay tv oggi di Comcast, ma allora controllata da Rupert Murdoch e guidata in Italia da Tom Mockridge. «Nel colloquio in cui mi propose di entrare in azienda Murdoch mi chiese se Sky Italia dovesse quotarsi. Gli risposi di no. La sfida di diventare prima media company del Paese necessitava, a mio parere, di un livello di indipendenza e agilità che la quotazione avrebbe ostacolato». Murdoch non disse nulla. «È sempre stato un uomo diretto, informale. Probabilmente – ci ride su Scrosati – aveva già deciso, ma voleva capire come la pensassi».
Il seguito, con l’uscita da Sky per approdare a Fremantle, onestamente non è stato facile da capire. Perché lasciare un’azienda in cui più di uno lo immaginava come ceo post Andrea Zappia? Forse proprio per cattivi rapporti con quest’ultimo? «Nulla di più sbagliato. Andrea è innanzitutto un amico. Abbiamo continuato a vederci e sentirci spesso anche a Londra. Quando gli dissi della mia decisione cercò di trattenermi in ogni modo, ma lo fece con il rispetto per un scelta di vita. Anche quello l’ho apprezzato molto. Avevo voglia di una sfida davvero internazionale, dove confrontarmi con problematiche per me nuove e per questo affascinanti. Non si può chiedere ai propri team di rischiare se non si è disponibili a farlo in prima persona. Dopo 12 anni era il momento e quando è arrivata la proposta di Fremantle ho capito che era quella giusta». 
A guardar bene, un fil rouge in tutto questo c’è, anche con il no al posto alla Camera o l’uscita da MN per approdare a Sky. «Mi sono sempre sottratto alla comfort zone. Un’aspirazione che mi ha guidato, e su cui invito i giovani a riflettere, è quella di voler essere l’ultimo fra i primi invece che il primo degli ultimi. Confrontarmi sempre con persone da cui imparare». È per questo «che con me, nella mia squadra di lavoro, voglio e ho sempre voluto i migliori, in particolar modo se li ritengo migliori di me. La squadra che avevo a Sky ne è un esempio perfetto, il team che ho trovato a Fremantle, che ha anche una straordinaria ricchezza di diversità ed esperienze culturali, ne è una conferma».
Accanto a ciò c’è un altro tratto che Scrosati riconosce alla sua storia lavorativa: non fermarsi davanti a chi bolla le cose come impossibili. Attenzione però. Non si tratta di temerarietà e di spavalderia, ma di consapevolezza che se c’è una ragione strategica solida si può e si deve tenere il punto. Così è stato, racconta, con X Factor «che era sulla Rai e ho fortemente voluto in Sky. Ritenevo cruciale per Sky dotarsi di una nuova gamba importante di contenuti visto che la Serie A non era in esclusiva. Ero anche convinto che quel programma avrebbe portato enormi interazioni con gli abbonati, un elemento prezioso per una pay». Per questi motivi Scrosati non è indietreggiato nonostante più di qualcuno disse, anche pubblicamente, che non avrebbe mai funzionato. Lo stesso avvenne per Gomorra, «un successo mondiale, ma tanti dicevano che una serie girata in dialetto e con i sottotitoli sarebbe stata un disastro». E lo stesso avvenne, come detto, per Vision Distribution. 
La lotta contro il pregiudizio dell’impossibilità «fu anche la molla che mi portò alla mia ultima avventura con la politica. Nel 1998 un amico mi fece incontrare un personaggio intenzionato a correre per la poltrona di sindaco di Bologna. Non era di sinistra e dunque la cosa sembrava un fallimento certo. Eppure di lui mi colpì la sete di conoscenza, di cultura che avevo visto in pochi. Avevo dubbi se accettare l’incarico, decisi però di accompagnarlo a una trasmissione tv. Parlando della criminalità in città fu liquidato dal conduttore come irrilevante. Quella sufficienza e quell’arroganza mi diedero così fastidio che accettai la sfida». E Giorgio Guazzaloca divenne sindaco.