la Repubblica, 3 maggio 2020
Le partite a porte chiuse come la corazzata Potemkin
Immaginiamo che stasera su tutti i canali televisivi e su tutte le piattaforme streaming venga trasmesso un solo film: La corazzata Potemkin. O si fa altro o si guarda quello. Non si potrà però evitare di esprimere, alla fine, ma anche durante, l’immortale giudizio del ragionier Fantozzi. Ci aspetta nel futuro, per un periodo indefinito, lo sport a porte chiuse. O si fa altro o si guarda quello. Tuttavia non si potranno non fare alcune considerazioni, prendendo come esempio il calcio.
Spettacolo e spettatore hanno una comune radice, l’uno senza l’altro appassisce. Le porte chiuse nascono come sanzione e seppure in questo periodo ci siamo abituati a vivere situazioni punitive come fossero normali («Per sei settimane non esci più con gli amici!») un conto è la rinuncia per la difesa della vita, un altro quella per la tutela di interessi minori. Il calcio è un fenomeno novecentesco, che gli ultimi vent’anni si sono impegnati a sovraccaricare di eventi e svuotare di significati, senza rendersi conto che l’entusiasmo non è stato moltiplicato, ma frammentato. Nella siderale distanza tra divano e televisore la partita è comprensibile nella frazione che l’inquadra. Non vedi la disposizione completa della squadra e i movimenti senza palla. Te li recupera la regia, a sua scelta, ti ci affidi come a un traduttore, ignaro della versione originale. Bravissimi i doppiatori, ma puoi non aver mai sentito la voce di Robert De Niro?
Televisivamente uno sport senza pubblico trasmette un messaggio desolante, che ha escluso molte discipline dai palinsesti specializzati: ma se nessuno è uscito di casa per vederlo, perché io, a casa, dovrei farlo? Per stato di necessità, certo. A colmare il vuoto stanno provvedendo i cartonati sulle tribune, perfino con la possibilità di pagare per metterci la propria faccia. Poi verranno le curve create al computer. Magari inseriranno le grida, i cori, come le risate dal nulla che punteggiano le sit-com. Vi siete mai sentiti un po’ sciocchi nel seguire uno spartito emotivo? Al fine supremo verranno sacrificate la retorica del “dodicesimo giocatore”, la bellezza della coreografia del derby, le scosse telluriche del San Paolo. Potendo, avreste scelto di rinunciare alla telecronaca o allo sfondo? Si addita il luminoso esempio di Juve-Inter. Ma non è il picco a spiegare una realtà. E le altre 99 recite in teatrini deserti, con copioni minori? A Liverpool raccontano di una partita nella nebbia in cui un gol segnato nella porta lontana arrivò come eco di una felicità trasmessa; quelli nell’altra curva se lo fecero raccontare e solo dopo esultarono, abbracciandosi. Rinuncereste ai replay da sette angolazioni per quella sensazione? La vita non è mai un’ipotesi, ma il suo adeguamento alla realtà. Spesso più fallimentare quanto più era ardita l’ipotesi. Ora ci viene proposta una scelta, ben oltre il calcio e lo sport intero: o una versione modificata al ribasso di quel che si aveva (vacanze in giardino, frequentazioni virtuali e, appunto, porte chiuse) o la rinuncia totale. Mostrare questo bivio come necessario occulta l’eterno fantasma della terza via: la creazione, sospinta dalle circostanze, di un modello alternativo e non punitivo. L’occasione per cambiare. Un’idea di nave e di spettacolo che non sia la corazzata Potemkin.