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 2020  maggio 03 Domenica calendario

La sconfitta sui salari delle calciatrici Usa

Vincono in campo, perdono in tribunale. No money, per Megan Rapinoe e compagne. La nazionale di calcio femminile Usa, quattro volte campione del mondo, esce sconfitta dalla guerra dei sessi in tribunale. Abbassate la testa, sorelle. Non c’è discriminazione salariale da parte delle federcalcio americana verso le sue giocatrici. Questo a Los Angeles in 32 pagine sentenzia il giudice Gary Klausner, 78 anni, uomo, repubblicano (nominato da Bush jr), mai contestato, esperto di varie cause (class action, ricorso di plagio contro i Led Zeppelin). Ma se non c’è diversità di trattamento sui soldi, resta aperto un altro tema: quello che riguarda voli, hotel, assistenza medica. E di quello si occuperà un altro processo fissato per il 16 giugno, sempre a Los Angeles. In base al Civil Rights Act del 1964.
Le calciatrici americane escono battute in tribunale. Nessun scandalo dalla doppia esse, “Sex and Soccer”, la causa contro la federazione (Us Soccer) intentata nel 2016 a nome della squadra da cinque giocatrici tra cui le star Megan Rapinoe, Alex Morgan e Carli Lloyd, e avviata nel marzo 2019 con la motivazione professionale che la loro nazionale vinceva titoli mondiali (allora tre) ma era sottopagata mentre quella maschile non riusciva nemmeno ad arrivare in finale. «Noi siamo più brave, gli uomini più asini, noi lavoriamo di più, ma guadagniamo di meno. Ai mondiali la nostra nazionale ha vinto tre ori, un argento, tre bronzi, dominiamo nel ranking, in tre anni abbiamo giocato 60 amichevoli, ma se nelle tasche degli uomini entrano una media di 263.320 dollari, noi siamo ferme a 99 mila». Il giudice ha contestato queste cifre e anche il fatto che le donne siano state costrette a esibirsi su campi di qualità inferiori (sintetici). Le ribelli chiedevano 66 milioni di dollari di compensazione. Un ultimo tentativo agli inizi dell’anno di trovare un accordo extra giudiziale aveva portato la federazione a dichiarare che la superiorità degli uomini era una «scienza inconfutabile», per ricevere in cambio l’accusa di misoginia (anche da parte dei calciatori maschi) e portare alle dimissioni di Carlos Cordeiro, president dell’Us Soccer. Ora per la prima volta al suo posto c’è una donna, Cindy Cone.
Ma per tornare alle differenze salariali il giudice Judge Klausner basandosi su altri calcoli statistici e fonti ha negato ogni discriminazione sostenendo che dal 2015 al 2019 le calciatrici americane per un totale di 111 partite hanno guadagnato in salari 24.5 milioni di dollari per una media di 221 mila dollari a gara mentre nello stesso periodo le entrate degli uomini su 87 incontri sono state di 18.5 milioni, quindi di 213 mila dollari a match. Il giudice ha soprattutto evidenziato che se c’è una colpa sta nei differenti contratti collettivi (collective bargaining agreement) che le due organizzazioni hanno firmato. Gli uomini hanno votato per un accordo pay-to-play, in pratica a cottimo, più si gioca più si viene pagati con bonus, mentre le donne lo hanno rifiutato. Ma questa disparità non nasce da un’ingiustizia e da una discriminazione sessuale della federcalcio americana. Rapinoe e compagne ricorreranno in appello, Megan la Pantera Rosa ha già twittato: «Non smetterò mai di combattere per l’uguaglianza».
La battaglia della nazionale femminile di calcio americana non finisce qui. Deve recuperare una sconfitta, ma andrà avanti. Perché più che rappresentare uno stile di gioco è il simbolo delle libertà civili e non lo hai mai nascosto: contro Trump, contro l’omofobia, contro la schiavitù, contro l’invito ad andare a festeggiare alla Casa Bianca (e non ci sono andate, hanno preferito New York e il democratico Bill de Blasio) e Megan, la bad girl, una mano sul cuore quando suona l’inno americano non l’ha mai messa.
Certo è una squadra che si può permettere di essere contro: nel 2019 la più prolifica di sempre in un mondiale: 26 reti in 7 partite (il record era di 25), tre finali consecutive, la prima a ripetersi in due edizioni. Ci vogliono muscoli, ma anche fegato. E non è un caso che quando giochi il coro dei suoi tifosi sia: “equal pay”. Perché come ha detto la loro allenatrice, ora ex, Jill Ellis: «Forse non vi rendete conto che noi da sempre portiamo sulle spalle la responsabilità di essere quelle che vogliono un mondo migliore». Anche senza money.