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 2020  maggio 01 Venerdì calendario

Il torneo di Robinson: “Via col vento” vola ancora

Ha senso far ritradurre e rimettere in circolazione un romanzone di 1.200 pagine scritto negli anni Trenta, ambientato negli anni Sessanta dell’Ottocento e oscurato poi da un film enormemente popolare? Stiamo parlando di Via col vento, il romanzo di Margaret Mitchell, reso adesso in un italiano più moderno da Annamaria Biavasco e Valentina Guani, e della relativa scommessa dell’editore Neri Pozza. Messo a confronto con altri tre classici appena rispediti in libreria, Margaret Mitchell vince alla grande a conferma di una sensazione che avevamo solo a pelle: aiutate forse dalle serie televisive, le grandi storie di amore e guerra incontrano ancora, e parecchio. Ecco i quattro titoli in gara:

• A. J. Cronin La cittadella, Bompiani
• Alexandre Dumas padre Il conte di Montecristo, Bompiani
• Jack London Il tallone di ferro, Mondadori
• Margaret Mitchell Via col vento, Neri Pozza Questi i risultati delle sei partite: Dumas — Mitchell: 2 a 4 Cronin — London: 5 a 2 Cronin — Mitchell: 3 a 5 Dumas — London: 9 a 0 Cronin — Dumas: 1 a 6 London — Mitchell: 2 a 4 Classifica (tra parentesi i voti ricevuti) Mitchell: 6 (13) Dumas: 4 (17) Cronin: 2 (9) London: 0 (4) Vediamo adesso i giudizi dei lettori:
VIA COL VENTO
Giulia Mariscotti, 34 anni, pisana che vive a Rosignano Marittimo, cioè in provincia di Livorno, ed è in cerca di lavoro: «Da bambina mia mamma mi ha proposto infinite volte di vedere il film Via col vento. Mi sono sempre rifiutata categoricamente, sicura che mi sarei annoiata a morte. Trovarmi a leggere il libro e scoprirlo quasi avvincente mi ha completamente spiazzata». E già. Il cosiddetto polpettone non ha spaventato nessuno ed entusiasmato quasi tutti, al punto da farci sospettare che il mondo, di questi romanzoni-epopea, non possa fare a meno. Eva Brugnettini, 38 anni, veronese di Isola della Scala, adesso nell’amministrazione dell’Università di Bologna: «Non ci vuole tanto per innamorarsi di Via col vento: basta dimenticare il film, far finta di non aver mai sentito parlare di Rossella O’Hara, o di Rhett Butler, o di Mami. Una volta riusciti, ci si può lasciare andare alla scrittura fluida, al modo che la Mitchell ha di avvolgerti nelle spire della guerra civile, dello scontro latente tra bianchi e neri, e degli industriosi del Nord contro i latifondisti del Sud. Per poi innamorarsi malamente di Rossella O’Hara e dei suoi eterni capricci, e della sua boccaccia crudele, e di Rhett Butler, modello di ogni eroe scorbutico dal cuore d’oro. Un tomo che si fa leggere in un attimo e lascia il cuore a pezzi». Sedotti allo stesso modo quasi tutti gli altri: «La protagonista precorre i tempi dell’affermazione sociale femminile» (Marco Borciani), «Molto più interessante del film» (Maria Teresa Vallefuoco), «Indimenticabile» (Veronica P.), «Grande romanzo » (Mattia Marzola), «Non riuscivo a smettere di leggere » (Anna De Rosa). Eccetera eccetera. Lodi in genere alla nuova traduzione, a parte la lettrice mantovana Candida Bertoli, da poco in pensione, scandalizzata per uno «scendimi lo scialle e altre perle del genere». I lettori hanno voluto sottolineare certi passaggi del libro, a loro dire più significativi del celebre «Domani è un altro giorno ». «Lo zucchero attira molte più mosche dell’aceto» (Mummy) e «L’inferno non è un problema imminente». Soprattutto: «C’è chi trae forza dal passato, io la traggo dal futuro», piuttosto adatta al nostro momento.
IL CONTE DI MONTECRISTO
Giulia Fuisanto, 27 anni, padovana di Cittadella, un piccolo editore di Torino le ha affidato comunicazione e cura dei social. Nel dubbio tra Cronin e Dumas ha votato per Dumas perché si trattava di scegliere «tra un libro di 1.300 pagine che si legge come se ne avesse 200 e uno di 500 che si legge come se ne avesse 1.300». Mentre alcuni lettori hanno riconosciuto, nel romanzo di Dumas, una sorta di fumetto (secondo Antonio De Lauretis «il conte di Montecristo sta a Edmond Dantès come Batman sta a Bruce Wayne», secondo Eva Brugnettini «potrebbe essere un Disney»), altri vi hanno sentito una cupezza, una tristezza, un color livido dovuto al fatto che l’infelice Edmondo, dopo aver accumulato un patrimonio spropositato, non riesce a goderselo davvero perché straziato dal rancore. Valeria Vicenzi nota che, «se anche ha ritrovato la libertà e la luce del sole, è pallido, quasi cadaverico, le labbra sono viola » . « Gli ossimori del genere umano» aggiunge Vittorio Marchiori «il desiderio di giustizia (divina perché quella giudiziaria è da subito iniqua) e la sete di vendetta, la verità ricercata tramite la menzogna, la legge invocata dai fuorilegge, il nuovo equilibrio ristabilito con il caos, la ricchezza indispensabile quanto disprezzata». Paola Farneti, psicologa: « Amore, amicizia, odio, invidia, ambizione, gioia, speranza, dolore e disperazione, vendetta sono la “struttura emotiva portante” di questo romanzo, l’insieme di quei sentimenti universali che attraversano pressoché immutati le varie epoche storiche».
LA CITTADELLA
Cronin ha pagato «lo squallore delle città minerarie » (Marany Orlando), «i colori sbiaditi del villaggio di Driffney» (Ciro Vitiello), «il cielo basso e plumbeo del Galles piovoso» (Valeria Vicenzi), «l’atmosfera dickensiana di miseria, degrado, sfruttamento» (Tiziana De Felice, 62 anni, medico anestesista, pittrice e romanziera). Bruno Izzo, 64 anni, impiegato della Regione Emilia-Romagna, sordo profondo e «persona fortunata dato che la sordità mi ha insegnanto l’ascolto»: «Cronin è un medico, scrive di un medico, e di un agglomerato, una vera e propria cittadella di insegnamenti morali. Quello del dottor Manson è un racconto di nascita, caduta e redenzione. Intraprende con entusiasmo la professione medica, la esercita dapprima con abnegazione e caritatevole empatia per i suoi pazienti. Si perde poi per infimo arricchimento, ritrova infine i suoi ideali, torna a esercitare con dedizione e spirito di solidarietà come solo un medico, e un bravo medico, sa fare. È un romanzo attuale, lo suggerisce la cronaca d’oggi », concetto su cui concordano parecchi: la pandemia ha dato a un tratto nuovo smalto alla figura del medico. Michela Di Martino, 48 anni, sposata con tre figli, una vita all’estero (Gran Bretagna, Francia, Germania, Grecia): «È il racconto, particolarmente adatto in questo periodo di pandemia, di un dottore neolaureato e delle sue esperienze in campo medico con un’attenzione parallela all’etica medica e a quanto questa possa vacillare di fronte alla tentazione del denaro». Sui valori letterari: «Un bel romanzo d’altri tempi» (Donatella Pichinon), «piatto, distante, freddo» (Anna De Rosa). Simone Ticciati, 50 anni, responsabile a Pisa di un progetto europeo sulle malattie rare e curatore dell’edizione critica di Una vita di Svevo: «Al netto della salda sicurezza narrativa (che lascia intravedere una probabile influenza cinematografica, nelle descrizioni veloci dei caratteri, negli scambi secchi ed enfatici dei dialoghi), ho trovato spesso irritanti i personaggi e le loro relazioni. Si intuisce che la catarsi, il finale edificante fa aggio sulla narrazione, e come in un imbuto il lettore precipita verso una direzione scontata, in cui anche i temi non banali (non solo la questione sociale, ma ad esempio la sofferenza della moglie) vengono rapidamente abbozzati con larghe campiture, più da romanzo di appendice dell’800».
IL TALLONE DI FERRO
Sarebbe stata tutta un’altra storia se Jack London fosse stato trainato da Buck o da Zanna Bianca. Questo Tallone di ferro, uscito nel 1907, è invece un romanzo in cui «la parte più piacevole è senza dubbio la postfazione. Prima si fa fatica anche a capire se il vero protagonista della delirante e profetica vicenda sia l’ex maniscalco ed eroe socialista Ernest Everhard, o sua moglie (e voce narrante) Avis, o l’oligarchia capitalistica di inizio 900. Alla fine, tra cumuli di macerie e cadaveri ammassati, ecco spuntare un grosso falcemmartello. Ma a guardarlo bene forse è solo un gigantesco punto interrogativo» (Antonio De Lauretis, 46 anni, artigiano e ottimo ballerino, probabilmente genovese, dato che ama la Samp).
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SABATO PROSSIMO Sabato prossimo partita tra quattro gialli americani freschi di stampa: Michael Connelly Doppia verità Piemme, Martin Cruz Smith L’enigma siberiano Mondadori, John Grisham L’avvocato degli innocenti Mondadori, Thomas Harris Cari Mora sempre Mondadori.