A metà tra il gioco della torre e le riviste di gossip. «Qui non facciamo l’Encyclopédie – dice Vezzoli – Ma andare verso la digitalizzazione dell’esperienza artistica non significa filmare i quattro Donald Judd che hai e mostrare attraverso il tuo sito quanto li hai esposti bene, come può fare il MoMA», dice Vezzoli. «Il digitale ha cambiato la fruizione di tutto, anche dell’arte. Dobbiamo inventarci forme diverse di interazione con il pubblico. Possiamo riuscire o meno, ma abbiamo pensato di creare delle narrazioni usando un medium come Instagram, che raggiunge tanti. Il gioco dell’arte, alla fine, è sempre stato quello di cambiare le regole».
Vezzoli, lei utilizza ancora le celebrità per il suo progetto, eppure una delle poche conseguenze non gravi della pandemia sembra essere proprio il crollo del culto delle star, che postano sui social immagini da una quarantena non proprio ordinaria…
«È un problema di identificazione. Più che la celebrità, con la pandemia cade la finta normalità. La guerra – anche se quella che stiamo vivendo stento a dire che lo sia – è diversa se vissuta nella Londra bombardata o a Downton Abbey. Il lockdown è tutt’altra cosa in un buen retiro con 12 acri attorno. Attraverso Instagram le star cercano di veicolare una forma di pseudo normalità con effetti involontari spesso devastanti. Sharon Stone magari impiega 10 ore per mostrarsi struccata alla perfezione grazie a un make up artist assoldato per l’occasione. Il punto è: noi che cosa vogliamo da loro? Che siano divinità invincibili? O vulnerabili come noi?».
Ma lei, invece, che cosa vuole da loro? Perché ha scelto di proporre questo gioco delle coppie?
«Per dimostrare, attraverso le star, come quello della parità all’interno del discorso amoroso sia un’ideale irraggiungibile da sempre, da Agrippina ad Angelina, passando attraverso Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Il rapporto paritario è un Sacro Graal al quale tendo inutilmente anche io. Love Stories vuole diventare una genealogia della coppia amorosa 2.1. Un insieme di casistiche possibili. Le star servono per veicolare emozioni. Ho messo insieme 150 carte, ne manderemo in Rete 50. Ogni personaggio susciterà dei sentimenti. Confido in forti polarizzazioni. Sarà interessante capire come cliccheranno i follower. È lo spettatore che fa l’opera d’arte con la sua risposta».
Non sembra porsi il problema di un’arte come veicolo di bellezza e consolazione in piena epidemia…
«In questo momento, il mondo dell’arte dovrebbe solo pensare a raccogliere soldi per dare da mangiare a chi è rimasto senza lavoro. Che l’arte contemporanea non si sogni di avere una funzione lenitiva. Questo è un mondo che coagula attorno a sé gli esseri umani più ricchi del pianeta e non può avere la pretesa di elargire insegnamenti morali. Che i vari Christie’s e Sotheby’s si attivino per raccogliere fondi».