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 2020  maggio 01 Venerdì calendario

“IlMistero.doc”, la storia di tutte le storie

È strano immergersi in questi giorni nelle quasi milleseicento pagine de IlMistero.doc di Matthew McIntosh, mirabilmente tradotte da Luca Fusari. Si comincia con un tizio di nome Daniel che si risveglia in un letto sconosciuto, accanto a una donna sconosciuta, e si rende conto di aver perso la memoria. Pare che sia uno scrittore e che stia lavorando da undici anni a un romanzo intitolato IlMistero.doc.
Tutto ciò che gli serve per ricordare dovrebbe essere contenuto in un file dello stesso nome. Ma il file è vuoto. E così Daniel si mette a cercare se stesso. E, in parallelo, Matt ( cioè l’autore) ricostruisce brandelli della vita sua e della sua famiglia. E, nello stesso tempo, un veterano racconta le sue imprese, l’America si interroga sulla sorte di una signora scomparsa, una bambina nata prematura soffre, e fotogrammi di vecchi film si alternano a pagine bianche o nere o piene di asterischi, o con le registrazioni angosciose delle telefonate delle vittime dell’11 Settembre. Il tutto nel perfetto pastiche ergodico che risale ai tempi di Sterne e fu nobilitato negli anni Novanta dal post- moderno: la sfida al lettore che è chiamato a un impegno che trascende il puro godimento del testo. Molta critica ha liquidato frettolosamente McIntosh come un epigono stanco del Foster Wallace di Infinite jest, qualcuno l’ha trattato come un ambizioso che insegue a tutti i costi l’originalità, sul Guardian si legge di «un contenitore di storie nessuna delle quali è degna di figurare fra l’inizio e la fine di un libro». Eppure, IlMistero.doc, se ci entri dentro, è di una chiarezza esemplare. E risulta, letto oggi, profondamente inquietante. L’idea di fondo di questo oggetto narrativo (romanzo suona ambigua e riduttiva, come definizione) consiste nella determinazione dell’autore di condensare in uno spazio fisico ben determinato e a noi tradizionalmente noto – un volume – l’esistenza di un uomo e la costellazione antropologica delle sue relazioni. Ma, nella nostra era digitale, “raccontare” un’esistenza non può esaurirsi nel riportarne gli eventi più significativi nel formato scelto, sia esso libro, film, video, teatro, brano musicale. Raccontare oggi significa consegnare il racconto stesso alla pluralità dei formati dei quali ogni narratore dispone. Ad esempio: scatta una sirena d’allarme. Seguono sei pagine di lettere “e”. È il tempo che ci vuole per accorrere a verificare l’allarme. Oppure, le venticinque foto di bandiere americane al vento acquistano un senso ben preciso, e alquanto sarcastico, se torni indietro di mille pagine e rileggi il test patriottico di un improbabile sito BenvenutoWeb. com: «Dio è stato molto buono con noi, possiamo dedurlo dal fatto che ci ha fatti nascere americani». Non sono vezzi. È scrittura che si fa mimetica delle azioni e della loro complessità. E anche questo non basta, perché i formati influenzano, come ogni strumento, la scrittura stessa, e dunque l’oggetto narrato. La nostra vita, dunque, cambia in funzione delle tante modalità di raccontarla che conosciamo. A ciascuna di esse – un video, una registrazione, un diario, un file – consegniamo tracce di noi stessi. E ognuna di queste tracce genera, a sua volta, narrazione. E ogni narrazione si intreccia con quella degli altri esseri umani che entrano nel nostro raggio d’azione. Nessuno di noi è più un’unica individualità, perché ognuno è anche quel segmento di sé che la memoria condivisa con tutti gli altri ha generato. Può forse questo significare che se tutti hanno tutte le storie nessuno ha davvero una storia? Al contrario. «Un mondo in cui non hai una storia è un mondo di assoluta possibilità», scrive McIntosh. Il problema è chi determina le storie, chi ne decide gli sviluppi, chi distribuisce le ricompense e le punizioni. L’autore è figlio di un pastore, e uno dei filoni narrativi de IlMistero.doc è la minuziosa ricostruzione della lenta agonia del padre, il pastore Mike, condannato da un cancro al cervello: «l’unica ragione per vivere, l’unico metro di giudizio del successo di una persona nella vita è la sua relazione con Dio». Ma se Dio dà e toglie senza logica apparente, se “il mistero” è perché a qualcuno sia dato tutto e ad altri sia tutto negato, allora l’universo non appare altro che il testo assemblato da un chirurgo quantistico, un tessuto narrativo che si modifica di continuo sotto lo sguardo stesso del lettore. La storia di Mike, quella della piccola Margaret, quella di chi soffre e di chi lotta disperatamente per cercare la luce, con dolore, con rabbia, con ironia o con noncuranza… è la storia di ognuno e di tutti. Ed è la storia del nostro rapporto con gli altri, e con il pianeta che ci ospita. Non è di stringente attualità, tutto questo? Da quando siamo nella pandemia, ci rendiamo conto di quanto siamo furiosamente interconnessi, di come le nostre esistenze siano totalmente interdipendenti le una dalle altre. E di quanto la nostra sorte sia intimamente legata a quella dell’ecosistema. Se mai «nessun uomo è un’isola» ha avuto un senso, è adesso che si sta manifestando. No, McIntosh non si limita a giocare, non si sta divertendo con la grafica come un mediocre artista concettuale. McIntosh lancia – in tempi non sospetti – un grido forte e consapevole: siamo noi a scrivere la nostra storia, e quella di tutti. E anche se nel finale non è previsto l’arrivo dei nostri, strada facendo dovremmo almeno cercare di fare del nostro meglio.