Cosa le resterà di questo momento?
«Lo considero un anno che non esiste più, va cancellato. Ci sono stati tanti morti, un trauma degno di una guerra. Sono orgoglioso della reazione degli italiani, siamo stati responsabili e solidali, altro che scusa per non lavorare. Oggi c’è bisogno di costruire un grande partito ambientalista che coinvolga tutto il mondo».
Che cosa l’ha colpita di più?
«Quel che è successo ha sancito la mortificazione di persone che a settant’anni sono ancora in buona salute, vecchie solo all’anagrafe. Mi ha dato fastidio il cinismo dei Paesi del Nord Europa verso l’anziano, scarto della società. Enea, lasciando Troia, ha portato sulle spalle il padre Anchise. I bambini, con la loro purezza, e gli anziani, biblioteche della nostra memoria, sono le parti migliori della società. Ma che vogliamo fare a meno delle Sore Lella? Ogni volta che sui social posto la Sora Lella la gente la ricorda con amore perché ha riso con lei nei miei film, l’avrebbe voluta come nonna, con la sua saggezza, lo sguardo sardonico».
Quando uscirà “Si vive una volta sola”?
«In autunno lo vedrete. Un dispiacere non essere riusciti a uscire in sala. Ho anche fatto con gli attori un tour nel Nord, Torino, Milano, vicino Codogno, Piacenza, proprio mentre esplodeva il virus. Ho abbracciato e stretto mani a migliaia di persone, sono uscito indenne per miracolo».
Come trascorre questi giorni?
«La mattina faccio la spesa, anche per prendere una boccata d’aria, bardato con guanti e mascherina. Intorno a me la gente è tesa, tutti hanno fretta di correre a casa. La farmacista mi ha detto che hanno fatto incetta di una medicina che uso da anni perché pare serva per il virus, si fanno scorte come con le stecche di sigarette. Davanti al fruttivendolo un tizio spiegava che la domenica, farmacie chiuse, non trovava un preservativo. Alla fine aveva tagliato l’indice dei guanti che usiamo in questi giorni: “Ahò, ha funzionato”. E l’altro dietro di lui, serio: “Ma lo sai che m’hai dato un’idea?”».
Come organizza le giornate?
«In tarda mattinata scrivo il nuovo libro, al pomeriggio ci incontriamo su internet con gli sceneggiatori, mezz’ora di pettegolezzi assurdi per ridere, poi lavoriamo. Nelle pause vado in terrazza, sono un appassionato fotografo dei cieli. Elisabetta Sgarbi e Paolo Mereghetti hanno visto le mie foto, ne faranno una mostra a luglio. Ma in questi giorni il cielo è di una banalità malinconica, inespressivo».
La colonna sonora di questi giorni?
«Quando lavoro mi serve il silenzio assoluto, non posso neanche ascoltare il rumore dei miei passi, ho delle pantofole da Sindaco del Rione Sanità. Ho la sindrome che aveva Ingmar Bergman. Quando non lavoro metto i Led Zeppelin e Mark Lanegan, David Crosby. Di notte musica classica a basso volume, Mahler, Debussy».
Che capitolo sta scrivendo del libro?
«Il primo viaggio in macchina con mio padre. Per anni ha avuto l’autista, poi in famiglia lo convincemmo a prendere l’auto, anche per le gite. Ma lui, che teneva grandi conferenze, è stato bocciato sette volte all’esame per la patente. Finalmente un giorno torna dalla Motorizzazione, “ce l’ho fatta”, è stata una festa. Un mese dopo, troviamo davanti ai portici sotto casa una 1100 nera con le gomme fasciate di bianco. Ci batteva il cuore, entrammo come fosse San Pietro. Un giorno papà mi dice “accompagnami in un posto”. Parte in prima e resta con quella marcia, andiamo a venti all’ora, finalmente mette in terza, arriviamo in Piazza Venezia, gira per una stradina e mi fa “che bella la nostra macchina”, non raddrizza l’auto e andiamo dritti contro un muro, lui gli occhiali spaccati, io una ferita in testa. La folla, mia madre arriva in taxi: “Fregnone, tu non devi guidare più!”. Piero Sadun, pittore astrattista e amico di papà va a vedere il muro e ne fa un quadro bellissimo, si chiama “Incidente”.
Papà non guidò per i successivi tre anni, poi riprese, anche perché dovemmo licenziare l’autista: mia madre trovò un profilattico e fece una scenata a papà. Ci avvertì la polizia che il tizio andava tutte le sere a Caracalla a prostitute».
Stiamo tornando a sorridere?
«Detesto i pessimisti, la risata incarna la speranza, l’intelligenza, l’ironia. Dopo la Seconda guerra mondiale è nata la commedia all’italiana. In questi giorni in tanti ridono con i miei social, con i miei film ho fatto compagnia ad amici malati di Bergamo e Brescia, che erano soli a casa. Sono guariti tutti. Altro che ipocondriaco: ho regalato leggerezza e conforto, mi sono scoperto più saggio. Le persone mature non buttatele via, perché possono servire ancora molto».