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 2020  maggio 01 Venerdì calendario

Per una previsione ben 98 scenari

La domanda è una sola e diventa ancor più legittima ora che sta per cominciare la fase 2: se i calcoli contenuti nella relazione del Comitato tecnico-scientifico sulla quale il governo ha preso le sue decisioni non fossero corretti come potremmo accettare questa strategia che incide ancora molto sulle libertà personali? 
Il primo dubbio riguarda l’infinita casistica di scenari, 98 per l’esattezza, messi nero su bianco con un’incidenza di casi in terapia intensiva che va da 151mila a 150 a seconda del grado di apertura o chiusura. Un ventaglio che rischia di essere confuso. Il secondo riguarda il tasso di letalità per infezione (l’Ifr) che il Comitato indica pari a 0,657%. Ogni 100 contagi il Covid-19 diventa mortale per questa percentuale di soggetti. «Il numero – rileva Giovanni Cagnoli, presidente del gruppo Carisma – non è attendibile». 
Questo tasso di mortalità si basa uno studio del Dr. Verity pubblicato su Lancet il 30 marzo sull’analisi dei dati di Wuhan del mese di febbraio che aveva analizzato un campione di 1023 casi positivi utilizzando una distribuzione di contagi per fascia d’età rivelatasi errata nel momento in cui i tamponi sono stati fatti in maniera più estensiva. La comunità internazionale ritiene più attendibile lo studio dell’università di Stanford basato sui dati della contea di Santa Clara dove questo valore è compreso tra lo 0,12% e lo 0,20%. Assumendo, come concorda il mondo scientifico, che il virus abbia lo stesso tasso di mortalità per fascia d’età e trattamento clinico «si arriva con una semplice divisione al numero di contagiati partendo dall’unico dato certo, cioè i decessi», spiega Cagnoli. Per questo è necessario calcolarne con esattezza il numero e qui l’errore del Comitato tecnico-scientifico sarebbe da attribuire alla fonte. 
Il sito del ministero belga della Salute ha appena chiarito che il calcolo va fatto partendo dalla differenza tra i decessi medi negli anni precedenti (2015-2019) e i decessi nel 2020, dato a disposizione dell’Istat, e non dai dati aggregati diffusi dalle regioni che rischiano di sottostimare la letalità del Covid-19. Il Comitato invece parte dai decessi al 31 marzo (12.500 casi circa) e divide il tasso di letalità per arrivare ad una stima di circa 2 milioni contagiati. Cagnoli sostiene che i dati parziali dell’Istat rilevino che i morti sarebbero almeno 10mila in più. Con una semplice divisione i contagiati sarebbero perciò non più 2 milioni ma 6 milioni, cioè il 10% della popolazione. «Se poi il tasso di letalità fosse lo 0,4%, media tra Verity e Stanford, gli immuni diventerebbero circa 10 milioni», rincara Cagnoli. 
Il nodo dei contagiati 
A seconda del numero dei decessi cambia anche il denominatore dei contagiati al Covid 
Le anomalie non finirebbero qui perché investirebbero anche l’incidenza della terapia intensiva. La relazione del Comitato stima la percentuale di terapie intensive sul totale dei contagiati quasi a zero sotto i 55 anni. Intorno allo 0,7% tra 55 e 65 anni, tra il 3 e 5% tra 70 e 95 anni. Ma assume che tutte le vittime avrebbero dovuto essere intubate e invece non è stato possibile farlo. Proviamo ad applicare queste percentuali sulla popolazione contagiata. Per farlo dovremmo sapere la distribuzione dei contagi per fascia d’età e qui ci possono aiutare siti come www.rki.de (Germania) che ci dicono come il virus sia diffuso in modo omogeneo per fascia di età. 
I calcoli rilevano la probabilità massima di 430mila pazienti in insufficienza respiratoria entro la fine dell’anno in caso di riapertura totale di ogni attività lavorativa e sociale. «In realtà – attacca Cagnoli – abbiamo avuto 11mila casi complessivi di persone in terapia intensiva nel periodo 1 marzo-28 aprile. A questo numero si sommano i casi di terapia intensiva che non è stato possibile accomodare che forse possono essere stimati in 3.000-4.000. Possiamo concludere che la stima del Comitato è sbagliata utilizzando i loro stessi dati, sbagliati anche quelli, di almeno 2 volte, ma più correttamente utilizzando dati giusti di un fattore che va da 6 a 10 volte». 
Il massimo utilizzo della terapia intensiva è stato di circa 4.100 letti quando è andato in tilt il sistema sanitario tra Bergamo e Brescia nel momento di picco e ora è di circa 1.700 posti occupati su un totale di 9mila. Così quel numero di 151mila pazienti potenzialmente da intubare a giugno sarebbe tra 75mila e 15mila. Ciò non significa che è possibile ritornare alla vita di febbraio, ma certo più di qualche interrogativo si pone.