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 2020  maggio 01 Venerdì calendario

Intervista a Tito Boeri

Dare sostegno agli italiani più colpiti dalla crisi con interventi mirati, partendo dal potenziamento del reddito di cittadinanza. Favorire il progresso tecnologico del mondo produttivo con una trasformazione del mondo del lavoro. Mobilitare tutti i soggetti a finalità pubblica, comprese le Fondazioni bancarie, per sostenere finanziariamente le imprese. Regolarizzare gli immigrati, ripristinando la protezione umanitaria abolita con i decreti Salvini. Sono alcune delle proposte che Tito Boeri, docente alla Bocconi, ex presidente dell’Inps, illustra in una conversazione con l’Huffpost sulla sfida che attende l’Italia per riemergere da una crisi senza precedenti.  
Sono i giorni del lavoro, difficili da festeggiare: il 1° maggio, festa dei lavoratori, e il 20 maggio, cinquantesimo anniversario dello Statuto dei lavoratori. Cadono sotto la pesante ombra della pandemia di Covid-19 che dopo un pesante bilancio di vittime, sta impoverendo il paese. «In questo momento quello che più mi preoccupa è che stiamo lavorando al buio. Non solo in campo sanitario, ma anche sul mercato del lavoro e delle imprese sappiamo pochissimo. Questo non va affatto bene. In questa crisi il problema più serio è la mancanza di informazioni su quello che sta accadendo». 

Professore, questa sembra che sia stata la prima osservazione degli esperti della task force guidata da Vittorio Colao. Appena insediati hanno detto che per sconfiggere il Covid-19 servono molti più dati, per conoscerlo nel modo più completo. 
«Purtroppo in Italia non è stato fatto un lavoro serio e accurato di raccolta dati, dovremmo sapere molto di più sui pazienti che hanno contratto il coronavirus, sul luogo e sulle modalità con cui può essere avvenuto il contagio. Avere il maggior numero possibile di informazioni è la chiave per affrontare la pandemia, servono indagini accurate sul territorio. Non è mai troppo tardi per cominciare. Raccogliere dati ha certamente un costo, ma temo che finiremo per spendere molto di più, perché ora servono interventi selettivi, ma lavorando al buio il Governo sarà costretto a dare soldi a pioggia». 
Sta dicendo che il Governo non ha una strategia chiara?
«Dico che non vedo ancora nel Governo le idee chiare su un progetto d’insieme. Per carità, è anche comprensibile che di fronte a una situazione senza precedenti come il Covid-19, si viva un po’ alla giornata. Ma almeno capire come ne usciamo, definire un elenco di priorità, questo bisognerebbe averlo».
Quindi, che fare? L’Istat stima un calo del Pil del 4,7% nei primi tre mesi del 2020, il premier Giuseppe Conte è arrivato a ipotizzare un crollo del 15% nei primi sei mesi.
«A marzo è stato inevitabile un intervento indiscriminato di sostegno, ma adesso dovremo essere molto più selettivi nell’aiuto alle persone. Dobbiamo potenziare il reddito di cittadinanza, renderlo più agile, basato sulle autocertificazioni, perché non c’è tempo da perdere. Dobbiamo raggiungere i nuovi poveri, subito, non possiamo aspettare che certifichino i loro dati reddituali, perché allora sarà troppo tardi. Bisogna erogare trasferimenti proporzionati, esaminando i redditi familiari o il gap di reddito che alcuni hanno subito a causa della crisi rispetto agli anni passati. E poi dobbiamo includere gli irregolari».
Huffpost si è fatto promotore di una campagna per chiedere la regolarizzazione dei migranti. Anche lei si è più volte espresso a favore.
«Regolarizzare i migranti non è solo una misura giusta, ma conviene dal punto di vista economico e sanitario. La pandemia sta mostrando in modo evidente questo secondo aspetto. Bisognerebbe ripristinare la protezione umanitaria, eliminata con i decreti Salvini, per far riemergere queste persone e consentire loro di rivolgersi al servizio sanitario nazionale, ai medici di base, che sono il primo filtro del Covid-19 sul territorio. Va fatto immediatamente, non possiamo adottare misure che abbiano effetti ritardati». 
L’ultima sanatoria risale al 2002, ma da allora la curva degli irregolari è tornata a salire costantemente. 
«Noi purtroppo continuiamo a intervenire con una logica emergenziale. Abbiamo chiuso gli ingressi da 12 anni, però alla fine la domanda c’è, le persone arrivano lo stesso, entrano con i visti turistici e poi restano in Italia. A quel punto non esistono, non hanno copertura medica, non hanno copertura assicurativa, non pagano le tasse, e si finisce, come nel 2002, a dover intervenire con un’amnistia generalizzata. Ma rendiamoci conto che questo è un Paese che invecchia, che ha un enorme richiesta di lavoro sui servizi alla persona, che ha interi comparti senza lavoratori italiani. Oltretutto l’ingresso degli stranieri non ha portato a una riduzione dei salari. Se non permettiamo di soddisfare la domanda in modo regolare, ci ritroviamo un gran numero di invisibili. Ora ci stiamo accorgendo del problema dal punto di vista sanitario. Ma è un problema anche dal punto di vista economico e sociale». 
Cosa si può fare invece per dare ossigeno alle imprese in questa fase? 
«La crisi è di una gravità tale che si richiede uno sforzo straordinario dello Stato, ma sono convinto che lo si debba chiedere a tutti i soggetti con finalità pubblica. Penso anche alle Fondazioni bancarie, che andrebbero coinvolte perché forniscano garanzie alle banche o siano loro stesse a indebitarsi per erogare prestazioni a famiglie e imprese che non vengono raggiunte dallo Stato. La crisi delle piccole e medie imprese, l’impoverimento di una fetta consistente del ceto medio è così grave che sarebbe importante anche un loro contributo. Il semplice ruolo di garanzia non farebbe venir meno il contributo con cui le Fondazioni danno finanziamenti al Terzo Settore, se non eventualmente in futuro, ma il problema è ora e rendiamoci conto che va affrontato con tutte le armi a nostra disposizione». 
L’Europa in questo senso sta provando con difficoltà a darsi una strategia comune. 
«C’è l’ombrello della Bce che è molto importante, anche se dovrà essere ulteriormente ampliato. Vedremo sul Recovery Fund, per il momento solo sulla carta e senza aver sciolto il nodo principale: come verrà finanziato. Ma anche i finanziamenti europei, poi, bisogna saperli spendere. Anche su questo serve una strategia». 
Torniamo al primo maggio. Torniamo al mondo del lavoro. 
«Questa crisi trasformerà il mondo del lavoro. Ci sarà una brusca accelerazione della digitalizzazione e tutti i lavoratori saranno chiamati a stare al passo dell’innovazione. Certamente ci sarà una parte molto più rilevante di lavoro da remoto. Anche la normativa dovrà essere adeguata a queste novità». 
Lo Statuto dei lavoratori compie 50 anni, è ancora adeguato ai tempi. 
«Lo Statuto dei lavoratori ha tuttora un valore enorme nei rapporti di lavoro ed è un caposaldo della democrazia nel sancire la libertà di opinione del lavoratore, ma non riesce a coprire molte nuove forme di lavoro, come i finti lavoratori autonomi e i lavoratori su piattaforma. Lo Statuto in Italia è conosciuto soprattutto per le restrizioni sui licenziamenti, per le contrapposizioni sull’articolo 18. Paradossalmente oggi la maggiore tutela contro i licenziamenti viene dall’accelerazione del progresso tecnologico. I datori che dichiarano che non si sentono vincolati dal divieto di licenziamento introdotto durante la crisi Covid sono quelli che hanno maggiormente investito in smart working. Mentre le imprese che sono più indietro sulla digitalizzazione e sull’automazione stanno soffrendo molto di più e rischiano di dover licenziare molti lavoratori». 
Anche i lavoratori, diceva, dovranno mettersi al passo. 
«C’è il rischio di una cristallizzazione delle situazioni di difficoltà. Chi ha pagato di più la crisi rischia di continuare a essere più penalizzato. Per molti lavoratori non è facile cambiare il modo di lavorare, ma credo che ci saranno opportunità anche per il lavoro meno qualificato. Ad esempio per la pandemia ci sarà moltissimo bisogno di personale per i controlli, o per le sanificazioni, che possono impiegare anche chi non è in grado di stare dietro al progresso tecnologico». 
Sulla Fase 2 sono stati mobilitati centinaia di esperti, ogni Ministero crea gruppi di lavoro. Non c’è mai stato un coinvolgimento simile, ma non sono mancate anche le tensioni. In certi momenti è sembrato che ci fosse un rimpallo delle responsabilità.
«Ho trovato profondamente sbagliato il modo in cui la politica ha cercato di dare la colpa ai tecnici, come ha fatto il governatore Attilio Fontana nel caso delle Rsa lombarde. Ed è incomprensibile chi come il ministro Francesco Boccia chiede agli esperti “certezze inconfutabili e non tre-quattro opzioni per ogni tema”. I tecnici non possono dare certezze assolute. Possono proporre scenari diversi, possono aiutare a capire i pro e i contro di determinate soluzioni, ma spetta ai politici non solo metterli nelle condizioni giuste per lavorare, ma soprattutto scegliere, prendere decisioni che devono avere un carattere più generale e tenere in considerazione diversi aspetti e interessi. Purtroppo questo atteggiamento negativo verso i tecnici esiste nel Paese ed è stato accentuato dal populismo, anche se con la pandemia è stato rivalutato almeno il ruolo degli scienziati. Evidentemente in questo caso c’è stata una maggiore accettazione di competenze che uno sa di non avere. Per gli economisti è diverso, forse perché tutti pensano di sapere di economia, anche per la propria esperienza quotidiana. Ma l’economia non è una scienza molto più facile della medicina».