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 2020  maggio 01 Venerdì calendario

Orsi & tori

Vuole lo Stato, per il tramite del Governo, salvare, almeno sul piano bilancistico, alcune centinaia di migliaia di aziende piccole e grandi? Anche se ciò non elimina le problematiche enormi del decreto Liquidità e anche se ora il bravo ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, ha ammesso che è necessario far arrivare alle aziende denaro a fondo perduto e non solo prestiti, occorre anche pensare a una soluzione specifica perché centinaia di aziende non arrivino a fine anno o prima con capitale negativo, una caratteristica che impedisce alle banche, in Italia, di erogare finanziamenti. La soluzione c’è e allo Stato non costerà un euro. A illustrarla, su MF-Milano Finanza di giovedì 30, è stato Nicola Bedin, lo straordinario manager che in un anno riuscì a risanare l’Ospedale S. Raffaele dal disastro finanziario nel quale si trovava dopo la morte del fondatore visionario Don Luigi Maria Verzè. Se il metodo Bedin fosse stato esteso a tutto il sistema sanitario italiano, il risparmio annuale sarebbe stato di molti miliardi, raggiungendo un’efficienza che gli ospedali italiani non hanno mai avuto.Bedin, che oggi ha una sua azienda con alcune cliniche e una struttura professionale che in questa tempesta virale gli ha consentito di fare consulenza per la ripartenza ad aziende di primissimo piano che vanno dalla Ferrari di Maranello a Tim, ha trovato il classico uovo di Colombo: «Per difendere i bilanci 2020 dal virus bisogna sospendere gli ammortamenti». E documenta quale effetto positivo avrebbe una tale decisione che naturalmente richiede un atto legislativo.
L’effetto in termine di riduzione dei costi di non effettuare ammortamenti, né materiali né immateriali, è calcolabile in oltre 85 miliardi di euro, veri sui bilanci. A questo risultato si arriva con una ricerca fatta su circa 500 mila aziende (escluse quelle finanziarie) dalla società Scauting Capital Advisor basata sui dati del 2018 proiettati al 2020.
Gli ammortamenti, per dirla in maniera semplice, sono pura materia contabile con possibili riflessi fiscali. E proprio lo Stato con la legge sui superammortamenti concessi all’industria 4.0 aiuta a capire di cosa si tratta. Quando un’azienda ha utili alti desidererebbe avere ammortamenti alti; quando non produce utili e perde, il desiderio sarebbe quello di avere ammortamenti leggeri perché quelli di legge vanno ad aggravare la situazione. Nel primo caso il desiderio è dato dall’avere un profitto contabile che subisca la minore tassazione possibile, che falcidia materialmente la redditività del capitale investito. Naturalmente sia per le regole dei bilanci sia per evidenti ragioni di gettito fiscale, ogni azienda non può fare quello che vuole. Ma l’intervento sul livello degli ammortamenti, definiti in base anche all’ipotesi di vita del bene materiale o immateriale, può essere cambiato per legge, come dimostra il caso dei super ammortamenti concessi per la ristrutturazione aziendale e lo sviluppo tecnologico sintetizzato dalla sigla 4.0.
Si dice l’ovvio ad affermare che i bilanci 2020 saranno magrissimi, anzi disastrosi, appunto con il pericolo che le perdite erodano il capitale portandolo a livello negativo. Il fatto che lo Stato abbia mutato per legge, in modo da favorire gli investimenti del 4.0, il livello degli ammortamenti, facendoli diventare super, sì da favorire un rapido rendimento delle innovazioni tecnologiche, giustifica pienamente che di fronte alla distruzione del virus si possa decidere che per un anno non si facciano ammortamenti.
Nell’attività aziendale ci sono i fatti reali e i fatti contabili. Come già detto gli ammortamenti, la loro entità, sono un fatto contabile e collocandosi nel bilancio al di sotto dell’ebitda, determinano il risultato finale. Se le perdite sono superiori a una certa percentuale del capitale, lo stesso va ridotto; se sono superiori al capitale l’azienda finisce con capitale negativo. In molti Paesi, come gli Stati Uniti, è possibile continuare l’attività aziendale anche con capitale negativo; in Italia no, senza capitale la società non può operare. Per questo è indispensabile che lo Stato tuteli una struttura aziendale fondamentale per l’economia del Paese. Del resto, il recupero di questi 85-90 miliardi non gli costerà una lira perché comunque queste aziende non farebbero utili e quindi non pagherebbero tasse sui profitti, mentre salvando le aziende lo stato, fattore fondamentale per il suo futuro, nell’esercizio 2021 potrebbe tornare a incassare imposte.
Secondo l’analisi fatta su da Bedin con dati Scouting Capital Advisor, con lo stop agli ammortamenti per l’esercizio 2020 a livello globale il numero delle aziende che manterrebbero un capitale positivo crescerebbe dal 30% del totale al 45%. Insomma, senza spendere neppure i pochi miliardi destinati all’assicurazione dei crediti, che le banche hanno difficoltà a erogare per il fatto che la garanzia pubblica non va oltre il 90%, lo Stato stoppando gli ammortamenti salverebbe decine di migliaia di aziende e con esse centinaia di migliaia di posti di lavoro.
C’è da augurarsi che se non sarà il Governo a prendere l’iniziativa, l’opposizione batta un colpo positivo insistendo per un provvedimento di questo genere, che per poter essere approvato celermente deve essere incluso in uno dei decreti governativi che hanno un iter relativamente veloce, perché devono essere convertiti in legge entro 60 giorni.
Del resto, quando vengono decisi provvedimenti e decreti complicati, i risultati negativi si vedono. Uno di questi è il provvedimento che consente teoricamente di congelare il capitale al 2019. Apparentemente sembrerebbe un provvedimento efficace anch’esso per salvare le aziende, ma cozza contro gli obblighi delle banche, che con solo il 90% della garanzia pubblica entrano nel merito del credito. E le regole che provengono da Francoforte sono rigidissime. Invece, con un bilancio 2020 che salva il capitale e magari fa fare anche un piccolo utile grazie allo stop agli ammortamenti, per le banche sarà più facile erogare credito.
In realtà sono molti altri i bachi, si direbbe in linguaggio informatico, che contraddistinguono il decreto cosiddetto Liquidità. Il baco più grosso può avere anche gravi conseguenze penali. A metterlo per prima a nudo è stata ItaliaOggi e fa sempre riferimento al meccanismo delle garanzie assicurative che hanno permesso al presidente Giuseppe Conte e, anche se in secondo piano, al ministro Gualtieri di sparare che il decreto Liquidità varrebbe 400 miliardi.
Prima cosa, quei 400 miliardi, comunque di prestiti, vanno subito divisi per due, poiché 200 miliardi si riferiscono all’assicurazione di crediti all’estero che la Sace ha già realizzato ogni anno, negli ultimi anni. In secondo luogo, sugli altri 200 miliardi di potenziali crediti, calcolati con il moltiplicatore generato dall’assicurazione del credito fatto da Mediocredito centrale e da Sace, ci sono, come detto, numerosi bachi. E il più grande è appunto legato al fatto, non reso noto in conferenza, che se dopo averlo ottenuto la società non è in grado di restituire il credito e quindi scatta l’assicurazione pubblica, a quel punto creditore della società non è più la banca, se non per il 10% non assicurato, ma lo Stato stesso. Bene, intanto ben pochi sanno che in ogni caso, sia pure assicurato, quel debito non restituito passa allo Stato. Se per caso (ma i casi saranno tanti) la società non riesce a ripagare il credito ricevuto e fallisce, si può configurare addirittura il reato di bancarotta preferenziale. Ciò può avvenire perché una sentenza della Cassazione ha sentenziato che il debito non ripagato è per il 90% un credito privilegiato che lo Stato tenterà di farsi ripagare. Se per caso l’imprenditore o il curatore cerca in primo luogo di pagare i fornitori, nel tentativo di tenere in vita la società, può appunto scattare, in base alla massima della Cassazione, il reato di bancarotta preferenziale. Quindi, in base a questa sentenza, lo Stato assicura sì il credito ma ha diritto di ricevere per primo il pagamento del credito che passa dalla banca a Sace o Mediocredito centrale e conquista la natura di credito privilegiato.
Non vi pare, signori ministri e signori parlamentari anche dell’opposizione, che sia il caso di fare chiarezza su questo punto? Come? In maniera molto semplice: inserire in un prossimo decreto che lo Stato, che presta assicurazione del credito, se il credito non viene pagato diventa un creditore come tutti gli altri, cioè un creditore chirografario. Se poi si volesse davvero essere coerenti con le clamorose affermazioni che con il decreto Liquidità è stato varato il più poderoso sistema di liquidità per le imprese, magari pagando un premio assicurativo maggiore lo Stato si faccia totalmente carico della perdita invece di rivendicare il pagamento del 90% dall’azienda. Tanto più che le stesse aziende si vedono ribaltate una parte del cosiddetto costo (in gergo si chiama premio, bizzarrie del mondo assicurativo) dell’assicurazione.
Come si vede, il virus sta evidenziando quanto ItaliaOggi si è permesso di scrivere la settimana scorsa: Burocrazia, maledetta burocrazia, celiando la frase di un famoso palazzinaro di alcuni decenni fa, Gaetano Caltagirone, che per il vizio del gioco alla roulette, all’ultima giocata afferrò la pallina e la ingollò, gridando Pallina, maledetta pallina. Quella pallina nascondeva il potere della burocrazia e la collusione con i politici, perché lo stesso Gaetano Caltagirone è quello dell’altrettanto famosa frase rivolta a Franco Evangelisti, braccio destro di Giulio Andreotti: «A Fra’, che te serve». Spiegando su quali basi poggiava il potere politico del politico più longevo d’Italia.
I guai dell’Italia sono cominciati allora, nell’intreccio fra super burocrati legati a doppio filo ai capi dei partiti, governanti che chiamavano al loro fianco superburocrati per scrivere leggi che favorissero una parte o l’altra, un settore o l’altro dell’attività economica, con un ruolo cruciale in negativo della magistratura (la Cassazione veniva definita il porto delle nebbie).
Il virus potrebbe essere l’occasione per spazzar via le fondamenta dell’Italia edificate allora e che fanno da sostegno, come già scritto, a un sistema burocratico impenetrabile, perché a far nascere le leggi, quantomeno a scriverle, sono i super burocrati, che forse sono un po’ meglio di quelli di allora, ma che continuano a essere il perno del potere. Se per caso una legge nasce bene, non è detto che serva a quando il Parlamento l’ha concepita, perché dopo la legge ci sono i regolamenti, anch’essi scritti in piena libertà dai super burocrati, una casa inespugnabile. E così, con oltre 165 mila norme, fra nazionali e regionali, il Paese non può risollevarsi. Sole le guerre, assieme a tutti i danni di vite umane che provocano, possono segnare una svolta. Il virus è un nemico pericoloso quanto un esercito di spietati. Possibile che nessuno fra quelli che hanno il potere non voglia volgerlo in positivo, per cambiare le regole del potere e di chi lo esercita in Italia?
Almeno che quelle norme, che vengono dichiarate formidabile aiuto per aziende e cittadini, siano limpide, senza equivoci e senza tranelli. Come ha detto la prima presidente donna della Corte costituzionale, Marta Cartabia, nella Carta ci sono tutti i principi per avere un Paese efficiente, equo, libero e democratico. Seguendola, volendo, i mali della burocrazia potrebbero essere spazzati via come neve al sole.