La Stampa, 1 maggio 2020
In Giappone il virus abolisce la primavera
È uno spreco, ma non c’è scelta: il Giappone, nonostante sia molto legato ai riti di primavera - come camminare in punta di piedi fra i tulipani o respirare il profumo delle rose - per fronteggiare il Coronavirus ed evitare nuovi assembramenti nei parchi ha deciso di abolire le feste floreali e di sacrificare migliaia di fiori e di rose nei parchi pubblici.
A Sakura, città a una cinquantina di chilometri a Est di Tokyo, i funzionari hanno tagliato più di 100.000 steli di tulipani e hanno annullato il Festival annuale: la folla aveva sfidato le linee guida sul distanziamento sociale durante l’emergenza del coronavirus. Molti visitatori sono arrivati nel fine settimana quando i fiori erano in piena fioritura, un raduno di massa davanti al quale l’amministrazione non ha avuto altra scelta che tagliare i fiori.
Gli appassionati dovranno aspettare fino al prossimo anno per vedere i tulipani rosa e rossi tappezzare il locale Sakura Furusato Hiroba di 7.000 metri quadri. Fortunatamente i fiori recisi non sono andati sprecati: i funzionari li hanno donati alle scuole materne locali.
Il Giappone lotta da settimane per contenere l’epidemia: il primo ministro Shinzo Abe il 7 aprile aveva dichiarato lo stato di emergenza, consigliando di evitare gite non necessarie e di osservare le distanze sociali. Giovedì scorso il governatore di Tokyo, Yuriko Koike, ha esortato i residenti della capitale a fare la spesa meno frequentemente, per ridurre il rischio di diffusione del virus nei supermercati e nei centri commerciali. Molti supermarket, infatti, restano affollati. Koike ha detto che i 12 giorni a partire da sabato 25 aprile - un periodo che include le festività della Settimana d’oro - sarebbero un’opportunità per i 13,4 milioni di abitanti della metropoli di «restare a casa e salvare vite umane».
Ecco dunque alcuni effetti - nemmeno tanto collaterali - del Coronavirus, che impediscono i piccoli grandi gesti quotidiani decisivi per la qualità dell’esistenza: toccano anche noi da vicino, se ci facciamo caso, ad esempio impedendoci il pranzo di Pasquetta e la celebrazione en plein air del 25 aprile, che significava comunque anche un ritorno al sole, alla bella stagione e alla vita.
Speriamo che la traumatica esperienza ci insegni qualcosa: la mancanza di verde e di colori non è senza conseguenze sull’umore e sulla nostra salute. Meno fiori e meno natura significano anche più depressione e meno difese immunitarie. Va ricordato, per difendere e preservare il verde e i parchi pubblici - bene di assoluta rilevanza prima di tutto dal punto di vista sanitario - dall’assalto di attività commerciali che in tempi «normali» devono subire.
Della loro importanza era consapevole José Ortega y Gasset: «Credo che le due grandi virtù che la pedagogia deve formare nell’uomo siano la sincerità e la serenità. Ebbene, entrambe le insegna la natura meglio di tutti i maestri del mondo. Ciò che non è uomo è più sincero dell’uomo. Ne deriva che, appena ci troviamo soli in mezzo a un panorama naturale, dita minute e invisibili cominciano a tesserci intorno il mistero della sincerità, che unisce in uno stesso arazzo animali, piante e pietre. In breve, ci sentiamo inseriti nella vita unanime dei campi; il paesaggio solitario distilla quiete nel nostro cuore, armonia e benevolenza. Perché ci troviamo tanto a nostro agio nella natura? -si domandava Nietzsche. E rispondeva: perché la natura non ha alcuna opinione su di noi. Ah! È ben vero! L’uomo è sempre giudice dell’uomo, quando non ne è il nemico. Davanti all’uomo che più ci stima restiamo sempre sull’avviso e inquieti, non sia mai si scopra in noi qualcosa di nuovo che distrugga la stima».