La Stampa, 1 maggio 2020
Così sboccia il giardino di Monet
Se solo Claude Monet, il padre dell’impressionismo, potesse ammirare in questi giorni il suo giardino a Giverny, dinanzi alla casa rosa, dove visse gran parte dell’esistenza, sarebbe così contento. Lui, che tra quelle dalie e gladioli detestava sottoporsi alle lezioni di pittura a uso e consumo di artisti americani in estasi (ma lo doveva fare). Lui, che si ritrovava a visitarlo accanto ad ammiratrici ricche e mielose (ma era obbligato). Ebbene, oggi la stesa di fiori (eccessiva nei colori) e il suo giardino emotivo, umano e imperfetto sono in piena esplosione primaverile. Tutto è curato, come sempre, in maniera maniacale. Ma, a causa della pandemia, mancano le orde di turisti in arrivo da tutto il mondo. Pace, serenità.
Il giardino apre i battenti, in questo minuscolo villaggio della Normandia, a una settantina di km a nord-ovest di Parigi, ogni anno il 1°aprile: è un appuntamento sacrale per ammiratori di ogni sorta (717mila l’anno scorso, un nuovo record). I narcisi ormai sono già fioriti nel «clos normand», quell’ettaro di terreno che scende giù dalla dimora, con i suoi stradelli perpendicolari. Anche i tulipani (Monet li volle rossi alle estremità esterne e poi, via via, arancioni e gialli, avvicinandosi al vialetto centrale): si confondono fra i nontiscordardimé azzurrini. Restano solo alcune peonie giapponesi a dover sbocciare, perfino a maggio inoltrato, «ma quest’anno tutto è in anticipo: praticamente d’inverno non c’è stato gelo», ricorda Jean-Marie Avisard. 55 anni, iniziò a lavorare qui nel lontano 1990, ma al di là di quelli che un tempo erano i binari di una ferrovia e oggi una strada, dove Monet creò uno stagno artificiale e il giardino acquatico con le ninfee: il suo sogno di Giappone (dove non viaggiò mai). Il pittore era arrivato a Giverny nel 1883, a 43 anni, con la seconda moglie, Alice Hoschedé, i propri due figli e i sei di lei. «All’inizio affittava la casa – continua Avisard, oggi il "capo giardiniere" - Era squattrinato e coltivava solo frutta e verdura, per mangiare». Ma presto le quotazioni dei suoi dipinti s’impennarono. Comprò la proprietà e si mise a tagliare meli e pruni, per sostituirli con fiori e arbusti: modelli da ritrarre. Poi acquisì il terreno accanto e vi deviò addirittura un ruscello per creare il laghetto. I locali cercarono di opporsi, non capivano. Autodidatta nel settore, Monet si trasformò in un giardiniere provetto, con amici e consiglieri, taluni lontani, come Kojiro Matsukata, che dal Giappone gli inviava le peonie arbustive.
Nonostante il confinamento (e il giardino probabilmente riaprirà al pubblico solo a metà luglio), Avisard è in piena attività con i suoi undici giardinieri. «Mica è una macchina – dice –: non la si può fermare». Il suo obiettivo costante è «restare fedele allo spirito di Monet. Non è un giardino alla francese, né all’inglese, ma quello di un artista, fatto di fiori e di colori, che vanno mantenuti fedeli al modello originale». A mente tiene i dipinti di Monet e le foto dell’epoca, una documentazione molto dettagliata, «ma ci sono varietà che escono dai cataloghi dei vivaisti e altre che si aggiungono. Bisogna ritrovare comunque i colori del pittore». Con la sua équipe pianta qualcosa come 400mila specie vegetali ogni anno, cominciando a preparare i bulbi d’inverno. Anche lo stagno è inusuale, libera invenzione di un artista: s’ispirava alle stampe nipponiche che collezionava. Monet morì a Giverny nel 1926, dopo anni di pittura e giardinaggio. Facilmente collerico, succube di depressioni improvvise, dopo fugaci entusiasmi, solo tra i fiori si rasserenava. Nel 1901 Arsène Alexandre, critico d’arte, scriveva sul Figaro: «L’uomo che a Parigi sembra laconico e freddo, qui è completamente diverso: gentile, sereno, entusiasta. Quando un motivo lo porta nei territori dei boulevards, ha un sorriso con una piega ironica o sarcastica. Nel suo giardino, invece, emana benevolenza».