La Stampa, 1 maggio 2020
L’elemosiniere del Papa che porta il cibo ai trans
«Neanche la pandemia ferma l’Elemosiniere del Papa. Anzi, il lockdown sta esaltando la sua generosità e il suo cuor di leone». «È indomito e tuttofare. E sa sempre da che parte stare: quella dei più deboli». «A volte sfida i limiti con gesti forti, ma solo per suonare la carica dell’altruismo». Chi Oltretevere lo conosce descrive così il cardinale polacco Konrad Krajewski, testa pensante e braccio operativo della carità del Pontefice, protagonista assoluto - «scatenato» - della solidarietà concreta verso gli ultimi che nell’emergenza coronavirus diventano ultimissimi. Per tutti sempre e solo don Corrado, Krajewski è un porporato che veste sobrie camicie e gira alla guida del suo furgone bianco, sempre carico di viveri per i poveri di Roma. I poveri del Papa. Senzatetto, migranti, nullatenenti di prima e indigenti nuovi, vittime della crisi provocata dal virus. Compresi transessuali rimasti senza clienti. Chi grida aiuto all’Elemosiniere, sa che risposta e soccorso arrivano. Anche in tempi di serrate.
Primi di marzo, i racconti di sofferenza e morte in solitudine diventano incubi per tutti. Scatta la quarantena di massa. Anche Roma è deserta, la gente è barricata in casa. «Ma chi una casa non ce l’ha come sopravvive? Noi non abbandoniamo i bisognosi. Rispettando le regole continuiamo ad andare a sfamarli». E la paura di essere infettati? Krajewski ha 56 anni, non è un ragazzino. «Useremo l’intelligenza evangelica», replica. «E Krajewski è astutissimo!», ci dice un vescovo sorridendo. Così, indossando guanti e mascherina, la spedizione che dal Vaticano percorre le strade della Capitale per fornire viveri ai clochard continua. Problema: tanti volontari laici si sono spaventati e hanno preferito fermarsi. «È normale, non è mancanza di coraggio. Ma non siamo pochi, ce ne sono altri nuovi». Sono soprattutto «diaconi, suore e preti», forse qualcuno trascinato un po’ per il collarino.
Giungono notizie di istituti di suore in isolamento con decine di positive. Altro che paura di avvicinarsi: Krajewski va a portare conforto, donando loro latte, yogurt e altri prodotti delle Ville pontificie.
Passano le settimane, e il cardinale nato a Lodz ha la sensazione che preti, vescovi e cardinali non stiano facendo abbastanza. Parte la strigliata in direzione sacre stanze: «Non dimentichiamo i poveri! Soprattutto noi uomini di Chiesa. Mai come in queste settimane ho sentito senzatetto dire "abbiamo fame" e implorare cibo disperati. Bisogna avere più coraggio e aiutarli, comportandosi come gli operatori sanitari: amare la vita del prossimo come la propria».
Come se non gli bastasse Roma, Krajewski «sconfina» anche. Umbria, Casa San Bernardino a Porano, dove 17 religiose sono contagiate. L’orizzonte dell’Eminenza don Corrado diventa l’Italia. Porta a Lecce due ventilatori polmonari donati dal Papa. Va a Napoli, e a Castel Volturno.
Non basta ancora, la Chiesa può fare di più. Qualche giorno prima della Settimana santa si mette al pc e scrive una lettera a tutti gli alti prelati che compongono la Cappella pontificia, la «corte papale». «Diamo il nostro stipendio di aprile per chi soffre!». Quasi nessuno osa dirgli no. E così la colletta «è andata molto bene e sta proseguendo, perché altri si stanno aggiungendo».
Nel frattempo, c’è un prete «dissidente» della provincia di Cremona a cui i carabinieri hanno interrotto la messa. È sotto attacco mediatico. Krajewski viene a saperlo, prende il telefono e lo chiama. «Per sostenerlo: anche questo è compiere elemosina cristiana. Don Lino era meravigliato, si aspettava una condanna, non un abbraccio».
E poi, l’ultima sorpresa: il soccorso a una comunità di transessuali di Torvaianica, che, causa Covid, hanno perso i clienti e non hanno più di che vivere. Krajewski è così: non pensa ai benpensanti, ma solo a chi soffre, chiunque sia. «Questo è il Vangelo. Se non ascoltiamo il grido degli ultimi, lo rendiamo solo una favola». Chissà che cosa combinerà oggi.