Avvenire, 1 maggio 2020
I 60 anni dell’album dei calciatori Panini
Per chi non lo ha mai sfogliato – ma esiste qualcuno? – l’Album Panini è una raccolta di facce con un elenco di nomi, numeri, partite. Chi ha maturato questa balzana idea, pensa anche che la Divina Commedia sia la storia di uno che va all’Inferno, il resto non lo spoileriamo. In realtà l’Album Panini – da sessant’anni a questa parte – si offre come il più grande Atlante sentimentale d’Italia e si assume il compito – etico verrebbe da dire – di dare contezza e contabilità ai nostri amori, alle tante vite che viviamo, al «naufragar che ci è dolce» in quel mare di figurine. L’album Panini – di stagione in stagione – ci restituisce l’arcobaleno che dà forma al mondo che ci circonda, con la certezza che – per noi appassionati – «la bellezza del gioco del calcio risiede nella forma sferica del pallone, che sembra quasi voler mimare la prodigiosa armonia dei mondi» (cit. Gianni Brera). All’alba di quel favoloso decennio dei ’60, l’Italia si era ormai lasciata la guerra alle spalle.
Ogni giorno era una promessa di felicità. Da conquistare però con il sacrificio. I fratelli Benito e Giuseppe Panini trovarono a Milano un lotto di vecchie figurine invendute, che appartenevano alle edizioni milanesi Nannina.
Vi erano fotografati i calciatori delle squadre di Serie A. Pensarono che acquistarle fosse un affare, non si sa mai. Erano del settore: avevano fondato a Modena l’Agenzia Distribuzione Giornali Fratelli Panini. Così divisero e imbustarono il malloppo in bustine bianche con cornicette rosse. Dentro ogni bustina c’erano due figurine ciascuna. Una bustina veniva venduta a 10 lire. Si dissero: vediamo come va. Sembrava che gli italiani non aspettassero altro. Il successo fu straordinario, i fratelli Panini vendettero tre milioni di bustine. La storia dell’Album comincia così, con una raccolta – quella della stagione 1960-61 – che unisce il lavoro delle Edizioni Nannina e dei Fratelli Panini. L’anno successo i Panini decidono di fare da soli. Stampano le figurine, confezionano l’album e distribuiscono le bustine. È una catena di montaggio che farà la loro fortuna. La collezione del campionato 1961-62 vendette 15 milioni di bustine. In copertina c’è Nils Liedholm, centrocampista svedese del Milan, due anni prima (1958) si è laureato vicecampione del mondo, dopo la finale persa con il Brasile del 17enne Pelè.
Lo chiamano il “Barone”: per la classe, la posa elegante, l’ironia tagliente. Sta colpendo di testa un pallone che si presume pesantissimo. L’album si apre con un’avvertenza: consegnando 100 figurine valide al rivenditore, si riceverà in regalo un magnifico pallone n.5 di cuoio Gran Marca. Nella stessa pagina si ricorda anche ai collezionisti che – per completare la raccolta – si potrà richiedere un massimo di 10 figurine inviando Lire 100 anche in francobolli all’indirizzo modenese dell’azienda Panini. Lettere cestinate quelle che richiedevano il “Gronchi Rosa”: la misteriosa “figu” di Pier Luigi Pizzaballa, introvabile. Forse perché non veniva ristampata apposta per far uscire di testa i collezionisti. Nel risfogliare quell’album, inevitabilmente si viene assaliti da quella nostalgia che per definizione è canaglia. Conta nulla essere nati in quel periodo o in anni successivi. Il fascino degli Album Panini è l’aura di eternità che li ammanta. Aprendo a caso una qualsiasi pagina si entra in un mondo magico, in un’altra dimensione. Ogni squadra contempla 13 al massimo 14 figurine. La sezione “Altri titolari” ci riporta ad un calcio antico, quando le sostituzioni a partita in corso non erano previste.
Sfogliamo e puntiamo il dito a caso, come quando da bambini si viaggia con la fantasia indicando un punto sul mappamondo: Scagnellato Aurelio, mediano destro del Padova, nato a Fortezze (Bolzano) il 26-10-1930. Scagnellato ha un viso contadino, rughe profonde, uno sguardo truce, è stato bambino durante la guerra. Avanti, pagina del Milan: Rivera Gianni, mezzala sinistra, nato ad Alessandria il 18-8-1943. La foto è chiaramente ritoccata. La faccia di Rivera è incastonata in un mezzobusto che non è il suo. Alle spalle di questo ragazzino non ancora ventenne ma già con le stimmate del campione riluce di azzurro un cielo finto, da studio televisivo di Barbara D’Urso. Continuiamo: alla pagina della Roma Manfredini Pedro sfoggia un ta- glio di capelli da divo del cinema di quel periodo, da Hollywood sul Tevere. È arrivato due anni prima in giallorosso, lo chiamano “Piedone” perché quando sbarcò a Ciampino, acquistato per 78 milioni di lire dal Racing di Avellaneda, il fotografo scattò la foto dal basso verso l’alto e in primo piano ne uscì un piede gigantesco che colpì la fantasia dei lettori e suggerì ai cronisti il soprannome. E ancora: Dell’Omodarme Carlo, ala destra della Spal (Società Polisportiva Ars et Labor). Concentriamoci sul nome: Dell’Omodarme.
Sembra uno scioglilingua. Pronunciarlo – per l’eterno bambino che custodisce tra le mani la sua figurina – significa sempre recitare un mantra. È una password che abbiamo di- menticato e ci torna alla memoria, all’improvviso, con quel cognome che non entra tutto in una riga della figurina e la Panini lo pubblica Dell’Omodar e porta a capo il “me”. Un altro unicum tra quelle fotografie spesso in bianco e nero e colorate a mano. Si attaccavano con la colla. La coccoina, una sorta di “madeleine”. La Serie B ebbe diritto di cittadinanza poco dopo, a partire dal campionato 1963-64. I giocatori di Serie B andavano a coppie, a due a due, indissolubili, facili da ricordare come una filastrocca. Alla fine degli anni ’60 comparvero i primi scudetti. Erano laminati in argento, autoadesivi. Possedere uno scudetto – per un bambino dell’epoca – significava essere il padrone del mondo. Uno scudetto nel taschino era una responsabilità, un’investitura, un regalo concesso dalla combinazione divina che regolava la distribuzione delle figurine. In sessant’anni sono cambiate molte cose.
La posa plastica dei giocatori, le loro facce sempre più inclinate al selfie, la lucentezza del materiale, le statistiche a corredo di ogni nome. È rimasta invariata la magia, è rimasta la stessa anche la geografia dei nostri sentimenti. E l’album Panini è una bussola che ci orienta e ci salva, nel mare tempestoso in cui navighiamo cercando un mediano di sostegno che dia consolazione ai nostri ricordi e accenda la nostra fantasia.