Avvenire, 1 maggio 2020
Egitto, Al-Sisi aumenta i suoi poteri
Con un numero ufficiale di casi superiore a 5mila e in costante aumento, l’Egitto contende il triste record di contagi da Covid-19 al Sudafrica e di decessi all’Algeria. La presidenza di Abdel Fattah al-Sisi ha disposto il rinnovo per altri tre mesi dello stato di emergenza già in vigore per fare fronte a condizioni «pericolose» in termini sanitari e di sicurezza: in particolare, si legge nel testo pubblicato nella Gazzetta ufficiale, «le Forze Armate e la Polizia devono adottare tutte le misure necessarie per la difesa dal terrorismo, per garantire la sicurezza e tutelare le proprietà pubbliche e private e la vita dei cittadini».
Anche in tempi di virus, dunque, il nemico numero uno rimane il terrorismo. E si confermano vittime collaterali delle reti a strascico di esercito e polizia tutti gli oppositori politici, veri e presunti. Per il Paese, nei fatti, il cambiamento rispetto allo scenario preepidemia è relativo: la legge marziale è operativa da tre anni in Egitto, disposta nell’aprile 2017 dopo un duplice attentato contro la minoranza cristiana. Sono sospesi diritti costituzionali fondamentali, come quello di manifestazione e di espressione. Questa settimana, però, l’introduzione di un nuovo emendamento alla legge sullo stato d’emergenza ha attribuito ulteriori prerogative al presidente tra cui quella di requisire le strutture mediche private per metterle a disposizione di quelle pubbliche, disporre la chiusura delle scuole, sospendere determinati settori lavorativi del pubblico e porre in quarantena i viaggiatori. Senza l’assenso e il vaglio di altri poteri dello Stato.
Nel frattempo, nella pratica, istituti scolastici, università, moschee e siti turistici rimangono sigillati. Allentato, moderatamente, il coprifuoco notturno mentre, di giorno, negozi e centri commerciali sono aperti. Contenimento del virus, sicurezza del Paese e pure controllo del dissenso fanno a pugni, però, con le ragioni economiche: l’impatto finanziario del coronavirus assume proporzioni apocalittiche per una nazione di 100 milioni di cittadini impegnata a rilanciare lo sviluppo. Secondo il ministro del Turismo, Khaled el-Enany, la perdita derivante dallo stop del settore è di un miliardo di dollari al mese. Il quotidiano Egypt Independent lancia l’allarme disoccupazione: almeno 200mila cittadini egiziani hanno perso il lavoro a seguito della chiusura di alberghi, resort, ristoranti, bar, negozi sul Mar Rosso. Gli fa eco al-Araby al-Jadid, che calcola la perdita di posti di lavoro su tutto il territorio in almeno 3 milioni. Il turismo, in tempi di stabilità, assicura 12,5 miliardi di dollari l’anno al Cairo.
Nel frattempo, la caduta libera del prezzo del petrolio ha assestato un altro fendente al Paese: non è solo una questione di entrate minori a parità di export, ma anche di flessione di rendite derivanti dai lavoratori impiegati nel comparto petrolifero nel Golfo e ora disoccupati. Il Cairo ha chiesto al Fondo monetario internazionale un nuovo prestito. L’obiettivo macro-economico è non rendere vani i sacrifici sopportati finora: svalutazione della moneta, taglio dei sussidi, riduzione dei posti pubblici. Ma quello micro è altrettanto importante per il sistema politico-militare: prevenire, o almeno attutire, lo scontento sociale. Quello esploso nel settembre 2019 e oggi, a maggior ragione, dietro l’angolo.