il Fatto Quotidiano, 30 aprile 2020
Le carriere incrociate di Molinari, Folli e Giannino
Chissà cosa direbbero Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini nel vedere i loro nipotini politici attovagliati in un gruppo, quello guidato da Repubblica, che alla sua nascita, secondo il fondatore Eugenio Scalfari, avrebbe dovuto essere, come per molti lustri è stato, “liberal-socialista”. Con un pubblico di riferimento nella borghesia di sinistra che, nel 1976, guardava al Pci e alla sinistra Dc.
Oggi queste categorie non ci sono più e John Elkann ha dato Repubblica in mano a Maurizio Molinari, persona perbene e buon direttore che però fa parte di un mondo assai diverso: di centro, atlantista, filoisraeliano. E che si ritrova a guidare un giornale, e un gruppo, dove sta incrociando i suoi vecchi compagni d’armi del Pri. Una cucciolata repubblicana che vede appunto Molinari direttore di Repubblica, Stefano Folli principale notista politico e Oscar Giannino ai microfoni di Radio Capital (gruppo Gedi). Con i tre, Molinari, Folli e Giannino, uniti, chi più chi meno, contro il governo di Giuseppe Conte. Ieri Folli, il più agguerrito, è tornato a bastonare il premier con un editoriale in cui si paventa “il fantasma dei pieni poteri” che, a suo dire, Conte starebbe avocando a sé.
Strano come questo giro di giostra abbia portato questi tre baldi ex repubblicani a ritrovarsi insieme dopo 35 anni. Molinari, professionalmente, nasce con Folli, è stato lui a insegnargli il mestiere. Il notista politico, infatti, all’inizio degli anni Ottanta è direttore della Voce Repubblicana, con Giovanni Spadolini direttore politico. È in quegli anni che un giovanissimo Molinari inizia a scrivere da Gerusalemme. Poi il rapporto si salda. Molinari lavorerà alla Voce a Roma, occupandosi della sua passione: la politica estera. La Voce è il giornale del Pri, il partito italiano più atlantista e filo americano, punto di riferimento anche del mondo ebraico. “La libertà dell’occidente s’inizia a difendere sotto le mura di Gerusalemme”, amava dire il vecchio Ugo La Malfa. Ma il Pri storicamente è pure il partito di riferimento della massoneria. Nel 1987 arriva come direttore Giorgio La Malfa.
A quel punto prima Molinari e poi Folli prenderanno strade diverse, e alla Voce arriva Oscar Giannino, capo dei giovani repubblicani e portavoce del partito con La Malfa junior segretario, cui è legatissimo. A inizio anni ’90, poi, Folli e Molinari s’incrociano anche al Tempo, giornale storico della destra romana. Di lì a poco per Folli – che nel frattempo ha transitato per la rivista politica Occidente, molto elegante e filo-Washington – si apriranno le porte del Corriere della Sera, di cui diventerà notista politico fino ad arrivare alla direzione, nel 2003. Poi passa al Sole 24 ore, come editorialista, e infine, nel 2014, a Repubblica. Molinari invece nel 1997 arriva a La Stampa, dove per oltre un decennio sarà il corrispondente dagli Stati Uniti. Nel 2015 c’è da fare il nuovo direttore del quotidiano torinese: molti puntano su Massimo Gramellini ma dalla ruota degli Agnelli esce il nome di Molinari. Giannino, invece, ha una carriera più tortuosa perché, tra i suoi impegni giornalistici (tra cui Libero, Foglio e Radio 24), ci mette anche la politica attiva con la fondazione del movimento “Fare per fermare il declino”, che si presenta alle Politiche del 2013 senza fortuna (ma col mini-scandalo delle lauree inventate). Nel 2019, dopo la cacciata da Radio 24, approda a Radio Capital.
Ora questi ex ragazzi nati sotto il segno dell’edera incrociano ancora i loro percorsi in un giornale la cui proprietà è della famiglia che, con Gianni e Susanna, fu molto vicino al Pri, così da chiudere un immaginifico cerchio.