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 2020  aprile 30 Giovedì calendario

Ritratto di Irene Pivetti

I ragazzi non lo sanno, ma Irene Pivetti, che un tempo i politologi già chiamavano “mascherina” per via delle sue multiple identità, coperte prima da polverosi foulard a fiori, poi da cerniere Heavy metal, ha una biografia da epopea hollywoodiana. Uno di quei filmoni che iniziano con gli occhi limpidissimi della giovane protagonista, suor Irene, che sotto il cielo azzurro dei sogni, corre verso le burrasche della vita vera. Trionfa in abito celeste, con crocifisso al collo, diventando a soli 31 anni la regina della Camera dei perfidi deputati. È compassionevole e innocente. Per questo cade vittima del tradimento dei falsi amici. Casca nella polvere e nel tormento del cilicio.
Ma è un infernale sortilegio a trasformarla, con tuta latex, nella contessa di Montecristo che ritorna, i capelli rasati a zero, il frustino, i tacchi a spillo: dark lady della tv commerciale in compagnia non più di padre Pio, ma di Lele Mora, l’agente delle pupe, e di Platinette, il filosofo, che disse: “Con lei mi piacerebbe girare un porno”. E siamo solo alla fine del primo tempo. Nella pausa popcorn è giusto fare qualche passo indietro per raccontare il mistero di tante giravolte che persino lei, leziosamente si attribuisce: “Ho molte sfumature come tutti”.
Irene Pivetti nasce padana, da famiglia padana il 4 aprile 1963. Il padre Paolo fa il regista, la madre Grazia, la doppiatrice. Ha una sorella minore, Veronica, che da grande farà una cosa sola, l’attrice. Irene invece cresce insicura. Il liceo dalle monache benedettine fa il resto, trasformandola in scontrosa col birignao. Si laurea in Lettere alla Cattolica di Milano. A 27 anni, dopo avere lacrimato sulla sorte dei 117 mila contadini della Vandea insorti in difesa della vera fede e sterminati dai miscredenti della Rivoluzione francese, incontra Umberto Bossi. Lo informa del misfatto. E insieme si inventano la Consulta cattolica della Lega, anno 1990, baluardo della identità ultra cristiana, contro i veleni dell’Islam e le mollezze pagane di Roma ladrona. L’intera Consulta è lei, con sede in un sottoscala, ma ogni giorno spara petardi come un intero manipolo di hooligan. Chiama il settimanale Famiglia Cristiana “Fanghiglia cristiana”. Accusa il cardinal Maritini “di simpatie per i corrotti” e lo addita come nemico. Odia socialisti e democristiani. Per non parlare dei comunisti senza dio.
All’alba di Tangentopoli, anno 1992, la Lega trionfa e nella valanga c’è anche lei con tanto di camicetta bianca abbottonata fino al collo e rosario in mano. Poi accade l’impensabile: “Ero in macchina con Bossi, mi disse: te fai la presidente della Camera. Io? A momenti andavo a sbattere”. Invece va a sbattere l’Italia: eletta al quarto scrutinio, 347 voti su 617. Lei reagisce imperturbabile, mentre le tv la inquadrano salire sulla poltrona che ha appena sgomberato Giorgio Napolitano e a essere pignoli pure Nilde Iotti.
Ma siccome il bello della sacralità è ballarci intorno, ecco che Irene, liberata dalla Sacra Rota dall’illibato matrimonio con un certo Paolo, diventa “il sogno erotico dei deputati”, anzi degli italiani, la purezza da capovolgere, lo sfizio da immaginare. Salvo Vittorio Sgarbi, che ne parla con insolita gentilezza: “La Pivetti? È brutta e gengivona. Una dentona con le gambe storte e il sedere basso”.
Non poteva durare e infatti non dura. La fanno scendere dalla giostra dopo un paio di anni. Lei casca da subito nel frullatore dei reduci, litiga con Bossi, viene espulsa dalla Lega, passa all’Udeur di Clemente Mastella, si barcamena fino all’anno 2001, quando decide di cambiare vita e mettersi a ballare anche lei. Ma stavolta sul serio.
E siamo al secondo tempo, che cavalca lungo gli anni Dieci del Ventunesimo secolo. Stagione memorabile, perché ha ancora i privilegi da ex presidente con ufficio, autista e staff alla Camera: “È un mio diritto, non un privilegio”. Ma intanto se la spassa in body e criminal tango. Trova un amore nuovo, un tale Alberto Brambilla, col quale fa due figli e poi purtroppo un divorzio. Dopo il quale le tornano i capelli in testa e un po’ di buon senso, almeno per gli affari. Smette di occuparsi in tv di chirurgia plastica, tette rifatte e sesso non riproduttivo, per rinascere in tailleur da manager, addirittura “consulente di relazioni istituzionali”, cioè a dire lobbista, trasformando in business per aziende private l’agenda telefonica trascritta prima dentro i corridoi della politica, poi in quelli dello spettacolo che dai tempi di Berlusconi & Bossi sono diventati la stessa cosa.
La nuova trasformazione è meno misteriosa della prima. Lele Mora, il suo mentore, è appena precipitato nella trama di un altro film: gangster, ricatti, discoteche in fiamme, prostituzione maschile e femminile, bancarotta fraudolenta, ed è opportunamente finito in manette. Irene trasecola, non poteva davvero immaginare. E dunque, profittando del buio, esce di scena con una Onlus ideata a fin di bene: “Learn to be free”, che aiuta i disoccupati a trovar lavoro. E che funziona benissimo per trovarlo a lei, trasformandola in titolare di una ditta import-export con la Cina, la Only Italia, specializzata nel commercio di cosmetici, moda, gastronomia, gioielli.
E siamo quasi alla fine del film. Salvo il colpo di scena di queste ore: Irene Pivetti, che fu terza carica istituzionale, nonché soubrette di Bisturi e Ballando con le stelle, è indagata per frode ai danni della Protezione civile per un import che non si fa, mascherine taroccate – sospettano i magistrati di due Procure – proprio nel bel mezzo della pandemia che ha messo in ginocchio gli italiani.
Nella circostanza Irene ha sfoderato gli artigli contro l’inchiesta: “Qualcuno si è stancato di fare torte e si è inventato questa storia”. Vedremo se siamo davvero ai titoli di coda. Non troppo tempo fa diceva: “L’Italia va indietro. Manca una politica economica. Nessuno ha idee”. Lei, importando quei 30 milioni di mascherine, ne ha avuta una.