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 2020  aprile 30 Giovedì calendario

La confusione delle agenzie di rating

In momenti eccezionali, è giusto usare le metriche tradizionali? Nei mesi surreali del coronavirus, questa è la domanda chiave che si deve porre chiunque cerchi di valutare l’affidabilità di un Paese e la sua capacità di onorare i debiti. Le agenzie di rating se la pongono. Ma danno risposte in ordine sparso. Tutte diverse. 
Pochi giorni fa S&P Global Rating ha deciso di lasciare invariato il giudizio dell’Italia, nonostante il forte aumento del debito, perché la Bce sta di fatto creando un cuscino di protezione ai titoli di Stato. Qualche giorno prima era stata Moody’s, in una «credit opinion», a lanciare una chiave di lettura simile. Invece martedì sera Fitch si è comportata in maniera differente: senza neppure aspettare la data canonica per la revisione del rating italiano (tra l’altro due giorni prima della riunione in cui la Bce potrebbe annunciare un maggior sostegno ai titoli di Stato) l’agenzia ha deciso di tagliare il rating dell’Italia a «BBB-».
Unica bussola per il mercato
Possiamo discutere ore sull’opportunità o meno di tagliare o non tagliare un rating in una fase incerta come questa. Da un lato i numeri su debito e deficit lo giustificano. Ma dall’altro le misure straordinarie che la Bce ha varato e probabilmente varerà (il mercato si aspetta un altro aumento degli acquisti pandemici di titoli di Stato) potrebbero cambiare lo scenario e suggerire cautela. 
A prescindere da quale sia il comportamento corretto, il vero problema è un altro: che siano giuste o sbagliate, le decisioni delle agenzie di rating rischiano di pesare come un macigno su un Paese come l’Italia. Per un motivo ben preciso: perché moltissimi fondi, fondi pensione, assicurazioni e investitori vari usano i rating come unico parametro per decidere cosa possono e cosa non possono detenere in portafoglio. Morale: giusti o sbagliati che siano, i rating influenzano il comportamento di moltissimi investitori in tutto il mondo. E possono mettere davvero nei guai un Paese che, come il nostro, ha necessità di reperire grandi finanziamenti sul mercato.
Le vendite forzate 
Il problema nasce soprattutto quando il rating di un Paese cade dal settore tranquillo di “investment grade” a quello “spazzatura”. Cioè da “BBB-” a “BB+”. Dalla Serie A alla Serie B dei rating. L’Italia è ormai a un passo dalla “spazzatura” per due agenzie su tre: Fitch e Moody’s la valutano infatti nell’ultimo gradino del settore “investment grade”. Basta poco, insomma, per essere retrocessi in Serie B. È vero che entrambe hanno dato all’Italia un’outlook stabile, ma stare sul crinale non è positivo. Non tanto per il comportamento della Bce (che guarda solo il migliore di quattro rating e sta anche dimostrando di essere disposta a chiudere un occhio verso i titoli “spazzatura”), quanto per la reazione possibile del mercato.
Un passaggio in Serie B potrebbe infatti far scattare vendite forzate di BTp da parte di molti investitori. Sul mercato girano alcune stime. Hsbc, guardando solo i fondi d’investimento a benchmark (escludendo dunque assicurazioni, fondi pensione, fondi sovrani, banche e quant’altro) calcola che la caduta dell’Italia allo status di “spazzatura” potrebbe provocare vendite obbligate sui BTp da parte dei fondi per 61 miliardi di euro. Allargando lo spettro anche ad altre categorie di investitori, in passato erano girate stime maggiori: 100 miliardi di vendite obbligatorie sui titoli di Stato italiani calcolava Goldman Sachs, 130-200 stimava nel 2018 Barclays. Stime vecchie queste ultime, ma che danno il senso del problema: un declassamento al livello di “spazzatura” farebbe scattare vendite forzate sui BTp per molti miliardi.
Servono due declassamenti
Bisogna però intendersi sui termini: non basta che una sola agenzia di rating abbassi il giudizio italiano su quel livello. Attualmente sul mercato sono tre i benchmark per le obbligazioni “investment grade” europee più seguiti: Markit iBoxx, ICE BAML e Bloomberg Barclays. Tutti questi indici guardano la media dei rating di Moody’s, Fitch e S&P: per cui, dato che l’Italia ha tre rating, ne servirebbero due “spazzatura” per costringere i tre indici a “cacciarla” e per far partire le vendite forzate sui BTp. Dunque ancora un po’ di margine il Paese ce l’ha. Ma non molto.
Il ruolo della Bce
A questo punto la domanda da porsi è: se l’Italia venisse un giorno “cacciata” da quegli indici scatenando vendite forzate sui BTp, la Bce sarebbe in grado di assorbirle e di attutire il colpo? Attualmente, secondo le stime, l’Eurotower nel 2020 dovrebbe essere in grado di acquistare praticamente tutte le emissioni nette di titoli di Stato italiani: cioè i 100-150 miliardi di BTp che verranno emessi oltre quelli che serviranno solo per rifinanziare i titoli in scadenza. Questo significa che, se oltre all’aumento delle emissioni da parte del Tesoro partissero anche vendite forzate sul mercato, allora gli acquisti Bce attuali non sarebbero più sufficienti per contenere lo spread. Ma a questo problema potrebbe esserci presto la soluzione: già per la riunione di oggi il mercato si aspetta che la Bce annunci un aumento degli acquisti di titoli di Stato europei. Il paracadute, dunque, potrà allargarsi.