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 2020  aprile 30 Giovedì calendario

Quali informazioni abbiamo già ceduto

Ognuno di noi ha un’identità fisica e una digitale, fatta di tutti i dati che lasciamo dietro di noi nella nostra esistenza in rete. 
Entrambe ci definiscono come individui, ma quella fatta di bit ci è meno familiare: proviamo a capire com’è composta e come possiamo proteggerla.
Cosa condividiamo?
«I clic sui link, i siti aperti, le app utilizzate, dove e per quanto tempo, le ricerche su Google, i like su Facebook, Instagram, i cuori su Twitter. E le chat e le mail: se non l’oggetto, almeno i metadati, ossia a chi abbiamo scritto, quando, da dove, per quanto tempo. Condividiamo la lista dei contatti, gli appuntamenti, i dati della nostra attività fisica. Le reti wi-fi con cui ci connettiamo, e ovviamente le celle dell’operatore telefonico, che ci avvisano ogni volta che usciamo fuori dai confini dell’Italia. Condividiamo anche il modello e tipo di telefono, la dimensione dello schermo, quante fotocamere ha, se viene usato in movimento o sta fermo, talvolta pure l’accesso al microfono. E perfino se lo cambiamo». 
Come saperlo?
«Andare nelle impostazioni dello smartphone e controllare le autorizzazioni delle varie app, sotto la voce Privacy: si concedono di solito al momento dell’installazione, magari senza leggere, ma si possono revocare in ogni momento. Spesso a quel punto l’app non funziona o funziona male, e non necessariamente perché quei dati li usa, ma perché non può trasmetterli al server centrale». 
E qual è il ruolo e l’efficacia del Gps?
«Tra i dati più preziosi c’è la localizzazione. Per iPhone, basta andare alla voce Servizi di Localizzazione per vedere le app autorizzate; alla voce Posizioni rilevanti è registrato l’indirizzo di casa e quello del lavoro, e tutti gli altri luoghi dove siamo stati di recente e per quanto tempo. Questi dati sono ottenuti da Gps e Bluetooth e trasmessi ad Apple in maniera criptata: a Cupertino non potranno leggerli né identificare a chi appartengano. La policy di Android pare meno categorica, ma consente comunque di dare un’occhiata a tutti i posti che abbiamo frequentato: all’indirizzo Google.it/locationhistory si può andare indietro nel tempo anche di una decina di anni. Anche in questo caso, si può disattivare la localizzazione per singole app o per tutti i servizi, ma che senso avrebbe una mappa che non sa dove siamo?».
Da chi e per quale ragione vengono utilizzati questi dati?
«Il telefono è sempre con noi, quindi avere una pubblicità mirata sul luogo e sul momento in cui ci troviamo può avere un impatto maggiore sulle nostre scelte a favore di un certo servizio. 
Come pure è utilissima una valutazione attenta delle nostre scelte, basata sui clic e sul tempo passato a leggere un’inserzione o vedere un video è utilissima, specie se incrocia più fonti, perché consente di identificarci come target estremamente preciso per la pubblicità. E quindi incrementare il valore di Google e Facebook, che sono i due principali venditori di pubblicità online». 
Di chi sono i dati?
«A differenza dei beni materiali, i dati digitali possono esserci sottratti ma rimanere nostri: basta copiarli. Accade spesso, e il più delle volte col nostro consenso inconsapevole. Ma decidere cosa un’azienda fa dei nostri dati è nostro diritto, e per tutelarlo esistono numerose norme. 
Quelle europee (GDPR) sono particolarmente avanzate e sempre più spesso riconosciute come standard globale».