Corriere della Sera, 30 aprile 2020
Una ricerca su Covid, donne e lavoro
Se è vero, come dice la virologa Ilaria Capua, che le pandemie hanno «energia distruttiva e generativa», c’è il rischio che per le donne l’emergenza legata al Covid-19 non abbia alcun esito rigenerativo, anzi: per molte si tradurrà solo in un passo indietro.
Un recente rapporto della Banca Mondiale fa notare una cosa semplice: alcuni settori lavorativi più esposti alla crisi economica sono tipicamente femminili (colf, cameriere, parrucchiere ed estetiste). Questo a fronte di un altro dato rilevante: in prima linea sul fronte sanitario ci sono moltissime donne, come abbiamo avuto modo di vedere anche in Italia, con le storie delle infermiere e le loro immagini che hanno fatto il giro del mondo. Questo squilibrio è solo l’ultimo di una serie che la crisi ha accentuato. Anche in Italia.
Precarietà e insicurezza
Lo studio elaborato da Paola Profeta, docente di Scienza delle finanze all’Università «Bocconi», e dalla giornalista Tiziana Ferrario — in uscita per il Laboratorio Futuro dell’Istituto «Toniolo» — sembra unire i due nodi disegnando una spirale perversa: se alla struttura economica e lavorativa fragile e più precaria delle donne sommiamo l’esigenza di stare a casa e di occuparsi dei figli, l’effetto «distruttore» raddoppia e quello «rigeneratore» svanisce. Con numeri che ricordano paesaggi sociali di decenni fa: l’Istat dice che in Italia lavora meno di una donna su due (al Sud meno di una su tre), e quelle poche che lavorano spesso non lo fanno nei settori più remunerativi (come le banche, l’ingegneria e l’area oli e gas), ma sono la maggioranza nel turismo, nel commercio e nella comunicazione. Settori che purtroppo la crisi colpirà di più: ecco la spirale, nitida.
Ma Profeta è convinta che questa emergenza potrà offrire lo spunto per cambiare le cose: «Se lo smart working dà più flessibilità sia alle donne che agli uomini, perché non mantenerlo anche dopo? E perché non rafforzare il congedo di paternità, magari incentivando il rientro al lavoro delle mamme?».
Le task force al maschile
Un cambio di passo, dunque, che inizia come un percorso di norme sociali ma che mira a un cambiamento culturale. Eppure i segnali arrivati finora non sono incoraggianti: pochissime le donne che compongono la quindicina di task force e comitati di esperti. «Questo è ancora più anomalo se pensiamo che nell’ultimo periodo le competenze delle scienziate sono venute fuori spontaneamente, per una volta senza che facessimo forzature», osserva con ironia amara la sociologa Maria Letizia Pruna, autrice di Donne al lavoro (Il Mulino). Ferrario aggiunge: «Ma esperte come Ilaria Capua c’erano anche prima, ci sono da anni, basta cercarle e valorizzarle». Questa esclusione dalla stanza dei bottoni ha un’origine antica e risiede in parte nel fossato che divide le ragazze dalle materie scientifico-tecnologiche. Un dato su tutti: secondo una ricerca Ipsos per Laboratorio Futuro oltre il 63 delle donne interpellate afferma di non partecipare mai ad una discussione economica e di non avere acquistato un prodotto finanziario nell’ultimo anno.
Politiche sociali da cambiare
Ma tutti convengono su un punto: la ripresa avrà molto bisogno delle competenze femminili. E non solo perché in Italia il 60 per cento dei laureati è donna. «Perché in numerosi lavori del futuro, ad eccezione di quelli eseguiti da robot, spiccheranno soft skills come capacità di interazione e di relazioni interpersonali», afferma Profeta. E Ferrario aggiunge: «Questo momento di passaggio può essere prezioso per rivedere alcune politiche sociali», come per esempio più asili nido a prezzo sostenibile, più servizi all’infanzia. Pruna sottolinea che il cambio di passo deve avere una visione più ampia, anche nel ridisegnare i ruoli familiari: Ipsos certifica che il 74 per cento delle donne ha sulle spalle la gestione della casa senza aiuti dal partner.
«Dunque parlare di lavoro agile e basta, senza verificare bene che effetto ha sulle condizioni femminili è sbagliato — afferma la sociologa —: se deve badare ai figli, occuparsi degli anziani e magari arginare i disagi al marito che lavora, lo smart working è solo un modo per ricacciare in casa una professionista». Anche Ferrario e Profeta concordano che nel lockdown il prezzo più alto lo pagheranno le donne e nell’Italia pre-Covid non è che fossimo messi benissimo, con il tasso di occupazione femminile più basso in Europa (49,5%). Però forse c’è margine per un nuovo patto sociale e culturale, una «fase due» che per una volta renda tutti più liberi. Anche noi.