il Fatto Quotidiano, 29 aprile 2020
L’onda lunga delle nomine di Conte
Nessuno sa bene che Italia ci sarà a settembre, quando capiremo se l’economia è sopravvissuta alla combinazione micidiale tra pandemia, lockdown e frenata del commercio globale. Il primo segno del ritorno alla normalità è che sono ripartite le chiacchiere di corridoio su un governo di unità nazionale al posto di quello Pd-M5S per gestire il “dopo”. Ora, a parte il sospetto che l’unità serva a preservare le solite rendite di posizione e privilegi in un mondo post-Covid, l’esito di queste trame è assai incerto.
L’intensificarsi delle voci impone una lettura diversa delle nomine fatte dal governo Conte nelle scorse settimane: tutti si sono concentrati sugli amministratori delegati (con la conferma dell’imputato Claudio Descalzi all’Eni), pochi hanno osservato il giro dei presidenti. Dopo due mandati, l’ex capo della polizia e dei servizi segreti, Gianni De Gennaro, ha perso la poltrona di Leonardo, il colosso della Difesa a controllo pubblico. Neanche Matteo Renzi all’apice del suo potere, a inizio 2014, aveva osato indispettire De Gennaro, che invece ora si trova senza incarichi. Al posto di De Gennaro è arrivato Luciano Carta, dopo un solo mandato alla guida dell’Aise, il servizio segreto estero, una promozione che sa di rimozione, visto che Carta avrebbe potuto fare almeno un altro mandato e poi magari passare al Dis, il coordinamento dell’intelligence. Ma Carta, in varie occasioni, si era trovato su posizioni diverse rispetto a Gennaro Vecchione, attuale capo del Dis, stimato da Giuseppe Conte. Vecchione è rimasto al suo posto e Carta è stato spedito a Leonardo, esilio dorato ma pur sempre esilio. Il premier Conte, proprio nel momento in cui tanti lo danno per pericolante, ha tentato una prova di forza su due degli uomini cruciali nel sistema delle relazioni discrete del potere italiano. E ha prevalso. Se il risultato sia una maggiore resilienza o soltanto una lista di nemici più lunga (e quindi una fine più rapida) lo capiremo col tempo.