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 2020  aprile 28 Martedì calendario

Petrolio, i fondi ora vedono la ripresa

Gli speculatori – quelli veri – stanno tornando a scommettere su una ripresa del petrolio: segno che forse una svolta è vicina, anche se le forze ribassiste restano così potenti che per ora è quasi possibile contrastarle. Anche ieri le quotazioni del barile sono andate a picco, guidate dalla fuga degli Etf e in generale dei piccoli investitori, a molti dei quali i broker ormai precludono la possibilità di aprire nuove posizioni sui futures con scadenza vicina: una tendenza che assottiglia la liquidità e rende il mercato ancora più volatile. Nell’ennesima seduta convulsa il Wti per giugno ieri è crollato sotto 12 $/barile, arrivando a perdere quasi il 30% in alcune fasi. Il Brent per lo stesso mese (che arriverà a scadenza giovedì) ha intanto ripiegatodi nuovo intorno a 20 dollari.
Ancora una volta al crollo ha contribuito lo US Oil Fund, Etf monstre da oltre 3 miliardi di dollari, divenuto sorvegliato speciale delle autorità di vigilanza e del Cme Group, società che controlla il Nymex. Il fondo, cominciando ieri e concludendo entro il 30 aprile, sta ora abbandonando del tutto il future sul Wti per giugno: vende, in parole povere, mentre compra su un’ampia porzione della curva, dal contratto per luglio 2020 fino a quello per giugno 2021.
Sono intanto sempre più numerose le banche cinesi che sospendono la vendita di Etf sul petrolio e altre materie prime, facendo così venir meno una porzione di acquisti, mentre emergono indiscrezioni su perdite record a carico dei risparmiatori: clienti retail di Bank of China secondo Caixin avrebbero perso 1,3 miliardi di dollari per colpa di un prodotto strutturato quando la settimana scorsa il Wti di maggio è precipitato sotto zero. 
Proprio quel tonfo sembra aver dato la spinta decisiva agli hedge funds, che già da qualche tempo avevano cominciato a riposizionarsi per lucrare su un rimbalzo del prezzo del barile. Nella settimana al 21 aprile (il «Lunedì nero» era stato il 20) i fondi speculativi hanno aumentato del 28% l’esposizione netta lunga – ossia all’acquisto – sul greggio, portandola a 344mila lotti. Si è trattato soprattutto di nuove scommesse rialziste, più che della chiusura di posizioni corte, e protagonista assoluto è stato il Wti: il 90% delle posizioni nette lunghe oggi è concentrato sul greggio Usa, anche se i fondi si spostano sempre di più verso i futures quotati all’Ice, mercato meno ampio del Nymex ma che non richiede la consegna fisica allo scadere dei contratti. Di questi tempi è una differenza chiave, visto che a Cushing gli stoccaggi sono pieni al 70% e prenotati al 100%. 
Gli hedge funds ovviamente possono sbagliare – e molti sono stati travolti dai recenti sviluppi sul mercato, che non avevano previsto – ma i segnali di una prossima ripresa del petrolio non mancano. In molti Paesi del mondo il lockdown si sta attenuando e la domanda, ridotta di un terzo dal coronavirus, dovrebbe risalire sia pure in modo graduale. Allo stesso tempo la produzione ora scende davvero. 
I tagli Opec Plus – da 9,7 milioni di barili al giorno – sono iniziati prima del 1° maggio, data di avvio pattuita: di fronte allo scarso appetito dei clienti persino l’Arabia Saudita ha accelerato secondo fonti Bloomberg. Lo stesso ha fatto qualche compagnia in Russia, mentre si sono mossi ufficialmente in anticipo Kuwait, Algeria, Nigeria. Ma a colpire è soprattutto quanto accade nei Paesi esterni alla coalizione, a cominciare dagli Usa, dove la ritirata dei produttori in alcune aree è diventata addirittura precipitosa.
In North Dakota – dove c’è lo shale oil di Bakken – sono stati chiusi più di 6mila pozzi, con una perdita di almeno 400mila bg, il 30% del totale dello Stato. In Oklahoma è stata sospesa la legge che impone di continuare l’attività per mantenere la licenza di estrazione: un atto che ha incoraggiato molti produttori a fermare del tutto le trivelle. Tra quanti hanno compiuto questa scelta drastica c’è Continental Resources. La compagnia fondata dal petroliere Harold Hamm, consulente e amico di Donald Trump, avrebbe anche invocato la causa di forza maggiore per sfuggire agli obblighi con le raffinerie clienti. In un perfetto gioco di sponda il governatore dello Stato, Kevin Stitt, ha intanto chiesto alla Casa Bianca di dichiarare che il disastro dell’Oil& Gas dipende da un «atto di Dio», in modo da agevolare un ricorso di massa a questo scudo legale.